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Oltre Destra e Sinistra. La crisi della democrazia e il revival del populismo (di Paolo Zanotto)

 

«Ma cos’è la Destra, cos’è la Sinistra?» si chiedeva Giorgio Gaber in una canzone uscita quasi venticinque anni fa nell’album E pensare che c’era il pensiero. Il brano intendeva porre ironicamente in risalto a quali luoghi comuni si fossero ormai ridotte le differenze ostentate da una parte e dall’altra nell’era post-ideologica[1].

Questi due termini, in fondo, altro non rappresentano se non due categorie di pensiero in cui si articola il contrasto politico-ideologico. Tale dicotomia rimonta le proprie origini al secolo dei Lumi: fu nella seduta del 28 agosto 1789, ricordano infatti Buchez e Roux nella loro Storia parlamentare della Rivoluzione francese, pubblicata nel 1834, che «l’Assemblea si divise definitivamente in lato sinistro e lato destro»[2]. Se, come sosteneva Leszek Kołakowski, il comunismo era stato un “parto degenere” dell’Illuminismo e il nazismo un suo “mostruoso bastardo”[3], l’articolazione in Destra e Sinistra del quadro politico ne sarebbe dunque un’ulteriore eredità, dalla portata certamente meno devastante ma pur sempre insidiosa, giacché determina l’imprigionamento della mente all’interno di quello che in psicologia si suol definire un “dilemma”: o questo o quello, o quello o questo, tertium non datur.

Nella seconda metà del Novecento, specialmente nel mondo occidentale, l’antitesi fra Destra e Sinistra subì la pressione della contrapposizione fra i due blocchi del Patto Atlantico e di quello di Varsavia e, di conseguenza, finì per identificarsi, almeno in parte, con gli antitetici ideali del comunismo e dell’anti-comunismo. Il primato nell’aver tentato di sviscerare le differenze tra due categorie politiche così evanescenti e instabili, quali sono Destra e Sinistra, va senza dubbio attribuito a Norberto Bobbio, con un suo agile saggio in breve tempo convertitosi in un vero e proprio classico della politologia[4]. L’intento di Bobbio, secondo quanto ricordava l’editore Carmine Donzelli vent’anni dopo l’uscita della prima edizione, era teso alla «ricerca di una bussola, di un punto di orientamento soprattutto a sinistra, nel momento in cui tutte le certezze tradizionali di questa parte politica venivano revocate in dubbio»[5].

Secondo il celebre filosofo torinese, si potrebbe ridurre la secolare dicotomia alla contrapposizione fra “egualitari” e “inegualitari”. Il discrimine tra le due fazioni non risiederebbe tanto nel fatto che i primi ritengano tutti gli uomini uguali mentre i secondi li giudichino diversi, bensì sulla scelta deliberata di puntare l’attenzione a ciò che accomuna fra loro gli esseri umani nel primo caso, anziché porre l’accento su ciò che li caratterizza in quanto singoli individui come avviene per i secondi. Già a partire dalla stessa Rivoluzione francese, d’altronde, Edmund Burke, Joseph de Maistre e tutti i loro epigoni romantici contrapposero alla filosofia degli Enciclopedisti una concezione della vita e della politica nella quale ciò che contava davvero non era quel che rendeva uguali gli uomini, bensì precisamente quanto li distingueva fra loro: storia, cultura, lingua, etnia[6].

A tanto aveva condotto l’eccessivo ricorso alla razionalità e al processo analitico a detrimento di emozioni e intuizione, da cui si erano lasciati trasportare i filosofi settecenteschi tratti in inganno dalla hybris sapienziale che nel volgere di appena un secolo aveva finito per suscitare un estremo scetticismo, stando a quanto scriveva nel 1847 lo storico d’ispirazione saint-simoniana Louis Blanc nella sua Storia della Rivoluzione francese: «i filosofi del diciottesimo secolo avevano abusato dell’analisi; avevano sacrificato troppo il sentimento alla ragione, la gioia di credere nell’orgoglio della conoscenza. Quando veglia nel silenzio delle altre facoltà, l’intelligenza si fiacca molto rapidamente e s’atterrisce; giunge a dubitare di tutto, a dubitare di se stessa, e occorre che perda coscienza di sé in grembo a una beata ebbrezza. Questa ebbrezza dell’intelligenza è l’immaginazione. La fede riposa nel pensiero, e il riposo non differirebbe abbastanza dalla morte se uno non s’addormentasse in un letto pieno di sogni»[7]. Oscar Wilde una volta sentenziò che «per conoscere l’annata e la qualità di un vino non è necessario berne l’intera botte», mentre la sbornia di razionalità che presero i philosophes nel siècle des Lumières li indusse al classico oblio della mente che ne caratterizza i postumi, facendo loro dimenticare la lezione di Blaise Pascal, secondo cui «il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce»[8]. A metà del XX secolo, Friedrich August von Hayek avrebbe scritto pagine memorabili in merito agli infausti esiti cui aveva condotto tale “abuso della ragione”, individuando proprio in Claude-Henri de Saint-Simon uno dei principali colpevoli[9].

Riannodando le fila del discorso, dopo questa succinta divagazione, occorre rilevare come la summenzionata concezione paia rientrare nello schema comunitarismo/individualismo, che tanto ha animato il dibattito filosofico-politico nel corso degli ultimi tre secoli. Altri pensatori, nondimeno, preferiscono porre l’attenzione su differenti elementi, come ad esempio il peso attribuito al “potere”. In tale quadro, dunque, l’articolazione andrebbe posta fra chi predilige l’ordine e chi, per contro, giudica più importante la libertà: questi ultimi sono ossessionati dall’abuso di potere, i primi dal rischio della sua latitanza[10].

Dino Cofrancesco, adottando simile criterio fermamente rigettato dal Bobbio, ha osservato come la tassonomia possa venire arricchita ricorrendo alla distinzione delle tre classiche forme di potere: quello politico, quello economico e quello simbolico. In relazione al potere politico, la Sinistra si configurerebbe dunque come una “richiesta di partecipazione e di controllo dal basso”, mentre la Destra ambirebbe alla “responsabilizzazione e autonomizzazione dei vertici”; in relazione al potere economico, invece, la Sinistra porrebbe l’accento sull’esigenza di redistribuzione della ricchezza, mentre la Destra si preoccuperebbe più della sua produzione; in relazione al potere simbolico, infine, la Sinistra opterebbe per il “sacerdozio universale”, mentre la Destra sarebbe tradizionalmente legata al “principio della competenza e al carisma d’ufficio”[11].

Sull’onda di quanto è stato, si potrebbe piuttosto affermare che il discrimine fra Destra e Sinistra in un mondo fondato sul Capitalismo sia proprio quello del capitale: la Sinistra s’incaricò, storicamente, di tutelare i diritti della classe lavoratrice, mentre la Destra intese salvaguardare gli interessi della classe produttrice. Non a caso, il simbolo di “falce e martello” sintetizzava plasticamente la classe contadina ed operaia e, lungo tutto il Novecento, la Sinistra è sempre stata costituita da partiti “del lavoro” o “dei lavoratori”: ciò vale tanto per il Labour Party in Gran Bretagna quanto per il Partido Socialista Obrero Español nella Penisola iberica. Il tradimento di questo ideale perpetrato dalla Sinistra italiana è stato recentemente descritto da Piero Sansonetti[12].

Il crollo del comunismo, agli inizi degli anni Novanta del XX secolo, ha determinato il conseguente instaurarsi di una sorta di pensiero unico per oltre un decennio, che il politologo statunitense di origini nipponiche Francis Fukuyama teorizzò per primo in un suo celebre saggio del 1992 in cui preconizzava addirittura La fine della Storia in senso hegeliano, con l’ineluttabilità della “globalizzazione”, economica e quindi politica, quale unico orizzonte possibile[13]. Lungi dal finire sull’onda del successo editoriale riscosso da Fukuyama, la Storia dopo una breve battuta d’arresto ha proseguito la sua parabola discendente entrando in una nuova fase bipolare, inauguratasi con l’11 Settembre 2001, caratterizzata dal cosiddetto “scontro di civiltà” (Clash of Civilizations) secondo la celebre definizione datane da Samuel P. Huntington[14].

Lo studio di Huntington sembrava il conseguente sviluppo di quanto già preannunciato dallo stesso autore quasi trent’anni prima nel celebre rapporto collettaneo intitolato The Crisis of Democracy, richiesto espressamente dalla neonata Commissione Trilaterale, in cui si preconizzava una presunta crisi delle democrazie contemporanee da risolversi tramite l’ineluttabile ricorso all’imposizione di tecnocrazie[15]. Nello studio si analizzava la condizione politica degli Stati Uniti, dell’Europa e del Giappone, asserendo che, contrariamente alla convinzione in base alla quale “l’unica cura per i mali della democrazia è una maggiore democrazia”, al contrario i problemi di governabilità nascerebbero proprio da un “eccesso di democrazia”, per rimediare al quale il team di studiosi propugnava, di conseguenza, «il ripristino del prestigio e dell’autorità delle istituzioni del governo centrale»[16].

Sulla scia della progressiva metamorfosi indotta da simili teorie politiche negli ultimi quarant’anni, il quadro politico odierno si trova articolato in uno schema inedito, che in larga parte prescinde dai connotati storici della Destra e Sinistra novecentesche. Le due aree contrapposte che si fronteggiano attualmente, difatti, si richiamano ai nuovi concetti del Mondialismo e del Sovranismo. A fronte del processo di globalizzazione e, in ambito europeo, della graduale cessione di sovranità nazionale da parte degli Stati membri dell’Unione Europea, promossi dalla prima corrente di pensiero, nel corso dei decenni ha infatti preso piede una nuova dottrina politica trasversale, da non confondersi affatto con il nazionalismo (sorto e sviluppatosi in tutt’altro ambito storico-culturale), il cui intento consiste piuttosto nel promuovere la preservazione o la riacquisizione della sovranità da parte di una data Nazione, in quanto il processo di trasferimento di poteri e competenze a un livello sovranazionale viene interpretato da questa seconda corrente nei termini di indebolimento e di frammentazione della propria identità storica, nonché di declino e svuotamento del principio democratico che stabilisce un nesso di rappresentanza diretta fra i cittadini e i decisori politici[17].

Alquanto interessante, in proposito, si rivela l’analisi di Carlo Galli, storico delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna, da sempre legato alla Sinistra, tanto da essere stato Deputato al Parlamento per il Partito Democratico e, poi, per Sinistra e Libertà. Galli sostiene che l’adesione incondizionata all’ideologia mondialista da parte dei partiti progressisti all’indomani della caduta del comunismo li abbia sradicati dai propri modelli di riferimento al punto da far smarrire loro l’identità. Il cortocircuito s’innesca nel momento stesso in cui si volga lo sguardo al passato: «Il PCI, oggi, verrebbe definito sovranista», osserva giustamente Galli[18]. Egli, infatti, nota come quello di “sovranità” sia «un concetto talmente democratico che è richiamato nel primo articolo della nostra Costituzione. Oggi, invece, chiunque contesti la mondializzazione viene considerato un fascista. Storicamente, però, la sinistra ha sempre avversato il trasferimento del potere fuori dai confini dello Stato, basti pensare alla critica che i comunisti italiani opposero alla NATO e, per molti anni, al Mercato comune europeo»[19]. Il principale errore della Sinistra, sempre secondo Galli, consiste nel «considerare la richiesta di protezione – che c’è nella società – come un istinto razzistico, o xenofobo [...] la sinistra italiana, ha smesso di analizzare la realtà: preferisce nascondersi dietro il vecchissimo copione dell’antifascismo moralistico e considerare più della metà dei cittadini italiani barbari che stanno assaltando le fondamenta della civiltà»[20].

Le opportune considerazioni di Galli si trovano confermate nelle riflessioni fatte oltre quarant’anni or sono dallo studioso e politico socialista Lelio Basso, che scriveva senza il rischio di fraintendimenti: «[...] così come il sentimento nazionale del proletariato non ha nulla di comune con il nazionalismo della borghesia, così il nostro internazionalismo non ha nulla di comune con questo cosmopolitismo di cui si sente tanto parlare e con il quale si giustificano e si invocano queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale. L’internazionalismo proletario non rinnega il sentimento nazionale, non rinnega la storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni di vivere pacificamente insieme. Il cosmopolitismo di oggi è rinnegamento dei valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera»[21].

Massimo Cacciari, a sua volta, nel promuovere un appello per una nuova coalizione europeista che faccia da contrappeso al dilagante successo delle forze sovraniste, in una recente intervista ha riconosciuto gli errori compiuti dalle istituzioni europee e in particolare dai partiti progressisti, specialmente dopo il crollo del Muro di Berlino, sostenendo che negli ultimi venticinque anni «si sono inanellati una serie di errori straordinari. [...] non si possono coprire le immense responsabilità delle classi dirigenti politiche, economiche e intellettuali. L’Europa attuale è una costruzione a-storica, ignorante dello specifico di ogni tradizione, in preda da tempo a una deriva burocratica, centralista, anti-federalistica. La catastrofe finale è arrivata con la crisi economica, quando l’Europa si è mostrata incapace di difendere i suoi cittadini più deboli. È in quel momento che è avvenuto lo strappo tra la coscienza europea e la sua organizzazione. Lo strappo è qui e qui c’è la necessità di una discontinuità radicale con il passato. E quindi: politiche sociali diverse e una costruzione istituzionale di tipo federalista»[22]. Per il filosofo veneziano, inoltre, «la costruzione centralistica e burocratica e le politiche sociali dominate dal tradimento delle promesse offerte dal vecchio welfare: progresso, benessere» ha generato disincanto e risentimento nelle masse popolari. La sopraggiunta crisi economica, che perdura da ormai un decennio, per di più, secondo il parere dell’ex sindaco di Venezia, «ha messo l’Europa a nudo nelle sue debolezze e mancanze e si sono aperte le praterie per le forze anti-europee, ciascuna con le sue particolarità»[23].

L’interpretazione offerta da Noam Chomsky, altro noto intellettuale di matrice progressista, punta l’indice contro un centralismo ipertrofico e dominato da meccanismi non democratici oltre che verso l’abbandono della causa storica della Sinistra a sostegno dei lavoratori, che si sono impoveriti sempre di più per colpa delle politiche neoliberiste, supinamente accettate o addirittura promosse proprio dalle forze soi-disant “progressiste”, oltre che per la recente crisi economica globale. Secondo il celebre linguista americano, infatti, «i lavoratori si stanno rivoltando contro le élite e le istituzioni dominanti che li hanno puniti per una generazione. [...] C’è stata una crescita economica e un aumento della produttività ma la ricchezza generata è finita in pochissime tasche, per la maggior parte a istituzioni finanziarie predatorie che, nel complesso, sono dannose per l’economia. In Europa è accaduto più o meno lo stesso, in qualche modo anche peggio perché il processo decisionale su questioni importanti si è spostato sulla Troika che è un organismo non eletto. I partiti di centro-destra / centro-sinistra (democratici americani, socialdemocratici europei) si sono spostati a destra, abbandonando in gran parte gli interessi della classe lavoratrice»[24]. In questo caso, Chomsky utilizza il termine “destra” nell’accezione classica, ma ormai decisamente obsoleta, quale sinonimo di un “conservatorismo” legato alle classi produttrici dominanti. Questo spostamento “a destra” ha finito per provocare reazioni opposte in quell’area, come il fenomeno di Donald Trump, che tuttavia, contrariamente alla vulgata diffusa dai mass-media, a suo dire «non ha nulla a che fare con il “populismo”, un concetto con una storia mista, spesso piuttosto rispettabile»[25].

Di un revival del populismo in ambito europeo parla il politologo Marco Tarchi, fra i massimi esperti in materia, che colloca proprio in tale area ideologica i due movimenti politici attualmente al Governo in Italia. Tarchi, in particolare, riguardo al Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha affermato chiaramente: «Non l’ho mai visto, e tuttora non lo vedo, come un politico di destra, né moderata (ovviamente) né estrema. È un leader populista, un agitatore-trascinatore di qualità, come lo è stato Beppe Grillo fino a quando ha voluto spendersi in prima persona. La chiave del suo successo futuro sta nella possibilità di puntare su temi trasversali e guadagnare ulteriori consensi sfondando definitivamente le paratie stagne della dicotomia sinistra/destra. Se si rinchiudesse in questa seconda area, ridurrebbe la sua presa potenziale sugli elettori. E quando si è definito populista, a Pontida, ha dimostrato di averlo capito»[26]. Il politologo docente all’Università di Firenze, d’altronde, ha precisato che «l’alleanza fra populisti è già nei fatti, perché perseguono molti obiettivi comuni, ma una sorta di internazionale populista non ci sarà mai, perché ogni movimento di questo tipo persegue solo gli interessi del proprio popolo, e in qualunque caso di contrasto con altri paesi non è disposto a cedere. [...] Il populismo non è un’ideologia, è una mentalità»[27].

Al populismo, in effetti, non corrisponde un’elaborazione teorica organica e sistematica, tanto che esso si suole definire più come una “sindrome” che come una precisa dottrina politica[28]. Il populismo, pertanto, si configura come un atteggiamento politico-culturale anziché nei termini di una vera e propria ideologia, di cui Lega Nord e Movimento Cinque Stelle rappresentano due differenti e, per certi versi, opposte declinazioni[29]. Il Movimento Cinque Stelle, infatti, si richiama da sempre al giacobinismo implicito alla concezione rousseauiana della democrazia, di cui nella loro piattaforma gli iscritti hanno provato ad applicare una forma diretta, per quanto ristretta, con metodi di cooptazione dei propri candidati. Questa specifica versione del populismo individua, al pari delle altre, quale fonte precipua d’ispirazione e termine costante di riferimento il concetto generico di “popolo”, postulato apoditticamente come una massa omogenea e assunto come mito nei termini di un aggregato sociale depositario esclusivo di specifici valori positivi e permanenti[30]. L’inclinazione populistica dei Cinque Stelle, in particolare, si basa su principi e programmi ispirati a una visione democratico-costituzionale, con venature demagogiche dell’ideale socialista, sebbene questo genere di populismo escluda il principio della “lotta fra classi” di marxiana memoria in quanto «è fondamentalmente conciliativo e spera di convertire l’establishment; è raramente rivoluzionario»[31].

La Lega, per contro, a fianco della sua primigenia vocazione federalista e autonomista rispetto a cui, nonostante tutto, mantengono una certa coerenza ideale le attuali rivendicazioni sovraniste, ha conglobato nella propria identità una crescente critica del multiculturalismo affiancata da un deciso contrasto al fenomeno migratorio, ai cui esiti incerti essa guarda con estrema preoccupazione. Tutto ciò colloca saldamente il leghismo sul versante del cosiddetto right-wing populism, che fonde l’anti-élitarismo con un’impronta conservatrice sotto il profilo culturale e una vocazione al laissez-faire nella politica economica interna, a sua volta bilanciato da una tendenza al protezionismo in ambito internazionale. In sintesi, le forze politiche attualmente al governo del Paese coprono due aspetti complementari, di norma rappresentati da partiti che si alternano ciclicamente nei ruoli di maggioranza e opposizione: da una parte, infatti, il Movimento Cinque Stelle si è fatto carico di recuperare tutti quei temi legati ai diritti sociali, completamente abbandonati dalla Sinistra in favore di continue rivendicazioni in favore di presunti diritti civili; dall’altra, la Lega si è riappropriata dei temi della sicurezza del territorio e della difesa dei valori nazionali, abbracciando le rivendicazioni sovraniste a fronte delle costanti limitazioni del potere politico subito dalle democrazie occidentali negli ultimi decenni[32].

Queste due distinte anime, attualmente, convivono in nome del minimo comun denominatore rappresentato dall’antipolitica o, meglio, da una politica anti-sistema. Prossimamente, tuttavia, come ben dimostrano anche le pulsioni sovraniste presenti in nuce in alcuni progetti, tipo quello caldeggiato dallo stesso Cacciari, la crescente tendenza ad accogliere le istanze dell’“uomo qualunque” facendosene latori nei confronti dell’establishment potrebbe convertirsi in un’esigenza ineludibile, al punto da indurre ogni schieramento politico ad abbracciarla seppur in forme e dosi peculiari. Un simile scenario rischia di riservarci un futuro inopinato in cui, una volta superata l’attuale fase transitoria in cui domina una situazione di “contrapposizione sostanziale”, riemerga con veemenza la “contrapposizione accidentale” rappresentata dalla dicotomia di cui si è trattato nel presente scritto, proiettandoci in tal modo in un quadro i cui contorni appena tratteggiati lasciano intravedere il fronteggiarsi di due forme speculari di populismo: il populismo di Destra e quello di Sinistra[33].

(4 ottobre 2018)

 

[1]In alcuni passaggi significativi Gaber cantava: «L’ideologia, l’ideologia / Malgrado tutto credo ancora che ci sia / È la passione, l’ossessione / Della tua diversità / Che al momento dove è andata non si sa / Dove non si sa, dove non si sa. [...] L’ideologia, l’ideologia / Malgrado tutto credo ancora che ci sia / È il continuare ad affermare / Un pensiero e il suo perché / Con la scusa di un contrasto che non c’è / Se c’è chissà dov’è, se c’è chissà dov’è»: Giorgio Gaber, Destra-Sinistra, in Id., E pensare che c’era il pensiero, GIOM, Novembre 1994, Disco 2, brano 6.

[2]Cfr. Philippe-Joseph-Benjamin Buchez ‒ Prosper-Charles Roux, Histoire parlementaire de la Révolution française, ou Journal des Assemblées nationales, depuis 1789 jusqu’en 1815, Paris, Paulin, 1834-1838.

[3]Cfr. Leszek Kołakowski, Główne nurty marksizmu. Powstanie - rozwój - rozkład, Paryż, Instytut Literacki, 1976-78, trad. it. Nascita, sviluppo, dissoluzione del marxismo (3 voll.), Milano, SugarCo, 1976-1985.

[4]Cfr. Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Quarta edizione accresciuta, con una nota dell’editore, Roma, Donzelli Editore, 2004 [1ª edizione: 1994].

[5]Ivi, p. viii.

[6]La rivolta intellettuale contro l’Illuminismo e i suoi principi fondanti (libertà individuale, autonomia della ragione, metodo scientifico), così come si sviluppò a partire dal XVIII secolo fino alla fine del XX è stata trattata in profondità da Zeev Sternhell, Les anti-Lumières. Une tradition du XVIIIᵉ siècle à la guerre froide, Paris, Éditions Gallimard, 2010 [1ª edizione: Paris, Libreirie Arthème Fayard, 2006], trad. it. Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra Fredda, Milano, Baldini Castoldi - Dalai Editore, 2007.

[7]«C’est que les philosophes du XVIIIᵉ siècle avaient abusé de l’analyse; ils avaient trop sacrifié le sentiment à la raison, le bonheur de croire à l’orgueil de connaître. Quand elle veille dans le silence des autres facultés, l’intelligence se fatigue bien vite et s’épouvante; elle en vient à douter de tout, à douter d’ellemême, et il faut qu’elle puisse s’oublier au sein d’une ivresse heureuse. Cette ivresse de l’intelligence, c’est l’imagination. La foi repose de la pensée, et le repos ne différerait pas assez de la mort si l’on ne s’endormait dans un lit plein de songes»: Louis Blanc, Histoire de la Révolution française (12 voll.), Paris, Chez Langlois et Leclercq, 1847-1862, Tome Deuxième, 1847, Chap. III, p. 72 (traduzione mia).

[8]«Le cœur a ses raisons, que la raison ne connoît point»: Pensées de M. Pascal sur la religion et sur quelques autres sujets, Qui ont esté trouvées aprés sa mort parmy ses papiers, à Paris, Chez Guillaume Desprez, ruë Saint Jacques, à Saint Prosper, M.DC.LXX, Avec Privilege & Approbation, XXVIII “Pensées Chrétiennes”, p. 267.

[9]Cfr. Friedrich A. Hayek, The Counter-Revolution of Science: Studies on the Abuse of Reason, Indianapolis (IN), Liberty Press, 1979 [1ª edizione: Glencoe (IL), The Free Press, 1952], trad. it. dalla prima edizione L’abuso della ragione. Studi sulla controrivoluzione della scienza, premessa di Dario Antiseri, Roma, Edizioni SEAM, 1997 [1ª edizione: Firenze, A. Vallecchi Editore, 1967]; nonché Id., Kinds of Rationalism, in Studies in Philosophy, Politics and Economics, Chicago, University of Chicago Press, 1978 [1ª edizione: London, Routledge & Kegan Paul, 1967], Chap. 5, pp. 82-95, trad. it. Tipi di razionalismo, in Studi di filosofia, politica ed economia, prefazione di Lorenzo Infantino, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, 1998, pp. 167-188.

[10]Sul tema si consultino, in particolare, Marcel Gauchet, La droite et la gauche, in Pierre Nora (dir.), Les Lieux de mémoire, Paris, Éditions Gallimard, 1992, trad. it. Storia di una dicotomia. La destra e la sinistra, Milano, Anabasi, 1994; Alain Noël et Jean-Philippe Thérien, La gauche et la droite. Un débat sans frontières, Montréal, Presses de l’Université de Montréal, 2010; nel dibattito italiano, in particolare, si consultino i lavori di Marco Tarchi, Destra e sinistra: due essenze introvabili, in “Democrazia e Diritto”, 1 (1994), pp. 381-396; Marcello Veneziani, Sinistra e destra: risposta a Norberto Bobbio, Firenze, Vallecchi Editore, 1995; Aa. Vv., Destra/Sinistra. Storia e fenomenologia di una dicotomia politica, a cura di Alessandro Campi e Ambrogio Santambrogio, prefazione di Antimo Negri, Roma, Antonio Pellicani Editore, 1997; Costanzo Preve, Destra e Sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali, Pistoia, Editrice C.R.T., 1998; e Aa. Vv., Destra e Sinistra: due parole ormai inutili, a cura di Dario Antiseri e Lorenzo Infantino, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, 1999.

[11]Cfr. Dino Cofrancesco, Parole della Politica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp. 73-74.

[12]Piero Sansonetti, La Sinistra è di Destra. Storia di un ideale in svendita, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2013.

[13]Cfr. Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man, New York, Free Press, 1992, trad. it. La fine della Storia e l’ultimo uomo. La democrazia liberale è il culmine dell’esperienza politica?, Milano, Rizzoli, 1992; Il testo di Fukuyama derivava da una sua precedente riflessione formulata nel saggio The End of History?, in “The National Interest”, No. 16 (Summer 1989), pp. 3-18.

[14]Cfr. Samuel P. Huntington, The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, New York, Simon & Schuster, 1996, trad. it. Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano, Garzanti, 2000; anche la tesi di Huntington era stata abbozzata precedentemente nel saggio The Clash of Civilizations?, in “Foreign Affairs”, Vol. 72, No. 3 (Summer 1993), pp. 22-49, proprio in risposta a quella del suo ex allievo Fukuyama.

[15]Cfr. Michel J. Crozier - Samuel P. Huntington - Joji Watanuki, The Crisis of Democracy: Report on the Governability of Democracies to the Trilateral Commission, Introductory note by Zbigniew Brzezinski, New York, New York University Press - The Trilateral Commission, 1975, trad. it. La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale, Prefazione di Giovanni Agnelli, Introduzione di Zbigniew Brzezinski, Milano, Franco Angeli Editore, 1977.

[16]Ivi, p. 113 e p. 170, trad. it. p. 123 e p. 174.

[17]Cfr. Voce “Sovranismo”, in Enciclopedia Rizzoli - Larousse.

[18]Nicola Mirenzi, “Il Pci, oggi, verrebbe definito sovranista”. Intervista al prof. Carlo Galli: “Condanna a Orban è controproducente”, in “Huffington Post” (13/09/2018): https://www.huffingtonpost.it/2018/09/13/il-pci-oggi-verrebbe-definito-sovranista-intervista-al-prof-carlo-galli-condanna-a-orban-e-controproducente_a_23525808/

[19]Ibidem.

[20]Ibidem.

[21]Lelio Basso, Fascismo e Democrazia cristiana. Due regimi del capitalismo italiano, Milano, Edizioni Gabriele Mazzotta, 1975, p. 71.

[22]Cfr. Marco Damilano, “Ora il Pd si sciolga per far nascere la lista Nuova Europa”. L’appello di Massimo Cacciari, in “Espresso.Repubblica.it” (05 settembre 2018): http://espresso.repubblica.it/palazzo/2018/09/05/news/ora-pd-si-sciolga-per-lista-nuova-europa-l-appello-di-massimo-cacciari-1.326522

[23]Ibidem.

[24]Cfr. Fabrizio Rostelli, Scenari di democrazia, in “il Manifesto. Quotidiano comunista” (08/09/2018): https://ilmanifesto.it/scenari-di-democrazia/

[25]Ibidem.

[26]Cfr. Marco Sarti, Tarchi: «Salvini non è di destra, è un agitatore populista come Grillo», in “Linkiesta” (3 Luglio 2018): https://www.linkiesta.it/it/article/2018/07/03/tarchi-salvini-non-e-di-destra-e-un-agitatore-populista-come-grillo/38655/

[27]Ibidem.

[28]Cfr. Peter Wiles, A syndrome, not a doctrine, in Populism: Its Meaning and National Characteristics, edited by Ghiţa Ionescu and Ernest Gellner, New York, The Macmillan Company, 1969, pp. 166-179.

[29]Cfr. Voce “Populismo”, in Vocabolario Treccani on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 15 marzo 2011. Sul tema, inoltre, si veda Stefano Bartolini - Maurizio Cotta - Leonardo Morlino - Angelo Panebianco - Gianfranco Pasquino, Manuale di scienza della politica, a cura di Gianfranco Pasquino, Bologna, il Mulino, 1986, pp. 158-159.

[30]Cfr. Ludovico Incisa, Populismo, in Dizionario di Politica, diretto da Norberto Bobbio - Nicola Matteucci - Gianfranco Pasquino, Milano, TEA, 1992 [1ª edizione: Torino, UTET, 1983], pp. 832-838 (in particolare: p. 832).

[31]Peter Wiles, loco citato.

[32]La concezione sovranista propugnata dalla Lega, coniugata con le storiche posizioni federaliste e autonomiste di tale movimento, ricorda in parte il concetto di “Nazioni per consenso” enucleato da Murray N. Rothbard, Nations by Consent: Decomposing the Nation-State, in “The Journal of Libertarian Studies”, Vol. XI, No. 1 (Fall 1994), pp. 1-10, trad. it. Nazioni per consenso: decomporre lo Stato nazionale, in Ernest Renan - Murray N. Rothbard, Nazione, cos’è, a cura di Nicola Iannello e Carlo Lottieri, Treviglio (BG), Leonardo Facco Editore, 1996, pp. 44-53.

[33]Il trovatore medioevale Peire d’Alvernhe soleva distinguere la “contrapposizione accidentale” (contrarietas per accidens), che poneva i rivoluzionari “democratici” contro i tiranni conservatori, dalla “contrapposizione sostanziale” (contrarietas per se), che invece poneva chi lottava per un buon governo tanto contro i conservatori quanto contro i rivoluzionari: Petrus de Alvernia, Commentaria in Aristotelem, Salamanca, 1497, p. 876.

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