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ISSN 2532-8913

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Tra morale dell’intenzione ed etica della responsabilità: osservazioni sulla crisi dell’uomo contemporaneo (di Alfredo Franchi)

Nella ricostruzione storica delle vicende contemporanee si nota in molti casi la presenza di un paradigma interpretativo in virtù del quale, contemplando dal punto di vista terminale quanto è accaduto ed essendo così a conoscenza di tutte le conseguenze indotte dalle decisioni prese in passato, retrodatando tale consapevolezza, si caricano i protagonisti di una responsabilità politica e morale che non potevano avere nel farsi dell’accaduto, sia perché non conoscevano quanto sarebbe scaturito dalle scelte effettuate, sia perché mancavano del quadro globale di riferimento di cui lo storico può oggi usufruire(1). Sullo sfondo di tale "giustizialismo storico" opera inoltre la convinzione che dietro la negatività ed il male della storia si nasconda una intenzionalità più o meno esplicita, ma comunque identificabile tramite procedure suggestive come il "cui prodest"(2). In tale ambito interpretativo tra la sfera dell’intenzionalità e ciò che accade si viene ad avere una piena simmetria per cui la volontà punitiva e lo spirito di rivalsa con l’identificazione dei responsabili (ci devono comunque essere) trovano il loro adempimento e la loro sublimazione. Con imprudenza estrema si trascura il fatto che, nella vita e nella storia, la scelta non si configura nella maggior parte dei casi tra il bene ed il male, ma tra mali diversi(3) e non sempre si riesce a scegliere il male minore, non per malvagia intenzionalità, ma per l’incapacità cognitiva di dominare l’intera situazione e di controllare le conseguenze(4)

 

Alla luce di analisi più avvedute e scaltrite s’impone una visione diversa del divenire storico e delle dinamiche sociali all’interno delle quali si realizzano aggiustamenti e progressi significativi al di fuori e magari contro l’intenzionalità dei protagonisti e, parimenti, quanto di negativo si verifica non è in linea di principio riportabile ad una decisione perversa, ma allo svolgersi di vicende che rimangono, nella loro vischiosità estrema, estranee al pieno controllo della ragione e della volontà(5). Muovendosi tra morale dell’intenzione ed etica della responsabilità i filosofi hanno variamente interpretato l’agire umano sulla base comunque di un presupposto almeno tacitamente condiviso ossia che l’uomo sia dotato di libertà(6), il cui grado in concreto sarà anche difficilmente accertabile, ma non assente del tutto come coerentemente avviene nell’antropologia materialistica di ieri ed in quella più sofisticata di oggi, con esiti deresponsabilizzanti e depressivi di cui non va minimizzata la negatività per chi voglia avere un ruolo da protagonista nella storia(7). Può essere significativo allora ritornare alle principali riflessioni dedicate a tale tematica dai filosofi di ieri che parlano ancora agli uomini di oggi in quanto non sono stati assorbiti dal momento, dalla contingenza storico culturale in cui hanno operato ed appaiono, nella loro ricerca della verità, interlocutori autentici di coloro che sono ancora interessati a conoscere criticamente ed a salvaguardare l’effettiva condizione umana(8).

Ama et fac quod vis

Nella riflessione filosofica che in vario modo ha risentito delle suggestioni platonico-cristiane il motivo dell’interiorità assume un rilievo del tutto singolare per cui emblematica appare la nota affermazione agostiniana del "Noli foras ire"(9), fermo restando che il ritorno all’interiorità non si estenua in esiti narcisistici dal momento che nella fragilità costitutiva dell’io e nelle insidie di una peccaminosità ognora incombente si fonda la necessità di oltrepassare ogni dinamica puramente egocentrica. L’attenzione all’interiorità ha favorito i processi di auscultazione dell’io tesi ad evidenziare le dinamiche più sottili e raffinate al fine di sviluppare nella maniera più appropriata la dimensione dell’intenzionalità come momento qualificante e decisivo della natura umana(10). Da Agostino ad Abelardo a Bonaventura l’importanza dell’intenzione viene ribadita in ogni possibile modo qualificandosi come aspetto decisivo dell’azione umana a livello sia morale che religioso.Nella nota espressione agostiniana "ama et fac quod vis" la morale dell’intenzione trova una formula di grande afflato emotivo ove la si circoscriva ad una valutazione dei comportamenti svincolata dalle conseguenze esteriormente indotte dagli stessi(11). L’aver effettuato una scelta per amore e con buone intenzioni rende l’uomo interiormente irreprensibile, ma non per questo lo giustifica appieno ove le conseguenze, per quanto non previste e desiderate, diano luogo a dinamiche negative e dirompenti. E così l’aver effettuata una scelta con le migliori intenzioni e nell’intento di realizzare i valori che stanno a cuore non ne garantisce con sicurezza la realizzazione effettiva(12). Il passaggio dai valori interiormente coltivati alla vita reale è altamente problematico dal momento che necessita in ogni specifico contesto di un’informazione peculiare(13), e comunque anche in presenza di una preparazione specifica non esiste mai certezza assoluta di aver realizzato in concreto quello che, a livello di intenzione, stava profondamente a cuore(14).

Sapientiae studium est perfectius, sublimius, utilius et iucundius

Negli orientamenti più recenti e diffusi della riflessione filosofica intesa ad enucleare la natura dell’uomo e delle sue virtualità operative l’ipotesi materialistica, nella rivisitazione della moderna scienza, s’avvale di un consenso diffuso e generalizzato e, nei suoi esponenti più consapevoli, perviene alla conclusione di un determinismo integrale nel quale non rimane spazio per la libertà e la responsabilità dell’uomo(15). Siamo veramente agli antipodi di quella entusiasta celebrazione dell’uomo che, proprio in virtù della sua libertà, si collocava al centro dell’universo come protagonista assoluto in grado di rappresentare efficacemente il cosmo intero(16). Non è stupefacente che dietro le grandi imprese artistiche e letterarie sia presente una riflessione antropologica incline ad esaltare la natura umana e le sue virtualità creative, al contrario di quanto si verifica nelle epoche di crisi e di sfiducia quando, risolvendo la natura umana nelle sue dinamiche negative, s’adombra di riflesso una concezione rinunciataria ed avvilente della vita(17).

Già Aristotele aveva notato come in sede di valutazione non si debbano privilegiare le prestazioni negative bensì quelle in cui la realtà indagata appare nei suoi aspetti migliori(18). In consonanza alla sua teoria del primato dell’atto sulla potenza, dell’essere sul non essere avrebbe sicuramente ravvisato negli esponenti del contemporaneo nichilismo, in cui s’avverte una sorta di istinto di morte e di voluttà distruttiva, non tanto l’insignificanza della realtà quanto invece la povertà di una interpretazione in cui, alla fine, si riverberava nel mondo il loro vuoto interiore(19) Notava Aristotele: "se si ripone la felicità della vita tra le cose che dipendono dal caso oppure dalla natura, essa viene sottratta alla speranza dei più: infatti allora l’ottenerla non dipende più dalla solerzia degli uomini, e non si trova più in loro potere o nella loro attività"(20). Certo il filosofo era ben consapevole delle difficoltà implicite nella ricerca tesa ad individuare il significato della vita, difatti per suo esplicito riconoscimento era "difficile giudicare quale sia la cosa preferibile nella vita"(21). E pur non essendo ignaro della tesi estrema per cui addirittura era preferibile non esser mai nati aderiva all’idea contraria di una piena accettazione della vita che palesava tutto il suo fascino quando si perveniva a "contemplare il cielo e l’ordine di tutto il mondo"(22) e così, alla fine, nella natura gli aspetti di armonia ed uniformità ponevano in ombra le discontinuità imputabili al caso ed alla fortuna(23).

Nel filosofo si coglie la consapevolezza profonda della complessità dei problemi, della necessità di aprirsi alle molteplici prospettive sotto le quali la realtà si manifesta(24) e degli argomenti con cui le interpretazioni vengono sostenute, infatti: "le confutazioni degli argomenti degli avversari sono le dimostrazioni degli argomenti ad essi contrari"(25). E così, ove si giunga ad identificare i prerequisiti logici di ogni legislazione e normativa, è nella riconosciuta libertà degli uomini e quindi nel rifiuto di ogni forma di determinismo che si fonda la plausibilità dei comandi e dei divieti: "perché, infatti, il legislatore vieta di compiere azioni cattiva, e prescrive di compiere quelle buone e virtuose? E perché stabilisce una pena per le azioni cattive, se uno le compie, e per le azioni buone, se uno non le compie? Eppure sarebbe assurdo che egli stabilisse queste cose, se non dipendesse da noi il farle. Invece, come sembra, dipende da noi l’essere buoni e l’essere cattivi.

Inoltre testimoniano ciò le lodi e i biasimi che si attribuiscono. Infatti per virtù vi è lode e per il vizio vi è biasimo. Ma la lode e biasimo non sono conferiti per azioni involontarie; perciò è evidente che è egualmente in nostro potere il compiere le azioni buone e il compiere quelle cattive"(26) E così l’azione volontaria esige intenzionalità e consapevolezza(27), difatti ove sia ignoranza non si può avere responsabilità a meno che non si tratti di una carenza cognitiva imputabile a negligenza o trascuratezza precedente(28). Le scelte effettuate possono dar luogo a conseguenze non previste e così " diciamo fortunato un uomo al quale è accaduto di compiere qualcosa di buono contro il suo stesso calcolo, e altrettanto colui che, essendo logico che ricevesse un danno, ne ha invece riportato un guadagno. La fortuna dunque consiste in un bene che è ottenuto oltre l’aspettativa e in un male che era logico attendersi e che invece si è evitato"(29). Il filosofo ha ben presente il fenomeno dell’eterogenesi dei fini(30) in cui si palesano appieno i limiti della intenzionalità in ambito decisionale. Tale accertamento diventa invito a riflettere con attenzione sulla scelta da effettuare dal momento che la dinamica delle conseguenze, almeno in parte, sfugge al controllo di colui che delibera; in tal modo Aristotele viene a prospettare in ambito morale una dialettica tra intenzione e responsabilità(31) fermo restando che: "necessariamente il vizio è volontario come la virtù: non vi è infatti alcuna necessità di compiere le cose cattive. Per questo sia il vizio è biasimevole, sia la virtù è lodevole. Infatti le cose involontarie turpi o cattive non sono biasimevoli, né quelle buone sono lodevoli, ma sono tali soltanto quelle volontarie.. Inoltre noi lodiamo e biasimiamo tutti guardando più al proponimento che alle opere; e questo nonostante che l’attività sia preferibile alla virtù, per il fatto che di azioni cattive ne commettono anche persone che sono costrette, però nessuna di esse se lo propone. Però, poiché non è facile vedere quale sia il proponimento, per questo siamo costretti a giudicare la qualità delle persone dalle opere. E’ dunque preferibile l’attività, però è più lodevole il proponimento"(32).

La specificità della natura umana rispetto a quella degli animali non è semplicemente asserita e rinviene in una serie di constatazioni la sua scaturigine, fondamentale al riguardo l’osservazione per cui "tutti gli animali sembrano insensibili riguardo all’armonia ed alla bellezza"(33), e sempre rimanendo nell’ambito della riflessione tesa ad enucleare l’originalità assoluta della condizione umana, come dimenticare la suggestiva analisi dell’amicizia e della sua importanza nella vita umana a partire dalla convinzione che "la mancanza di amici e la solitudine siano la cosa più terribile?"(34). Pur riconoscendo che la realizzazione di un autentico rapporto interpersonale è molto ardua come il filosofo ammette quando afferma che "ad alcuni sembra cosa facile il possedere un amico, ad altri la cosa più difficile il conoscerne uno e che non sia possibile averne se non si ha fortuna: quando infatti si è fortunati, tutti sembrano volerci essere amici. Altri poi dicono che non ci si può fidare neppure degli amici che restano tali nella sfortuna, perché dicono ch’essi ingannano e simulano, al fine di acquistare, attraverso la vicinanza nella sfortuna, l’amicizia per quando tornerà la fortuna"(35). In tale passo si coglie un’annotazione collocabile, a pieno titolo, nella strategia interpretativa dello "smascheramento" tipica della modernità disincantata e scettica e di cui Aristotele, in anticipo, non era ignaro, cogliendo però nel suo imporsi qualcosa di preoccupante soprattutto per coloro che se ne avvalevano: "l’uomo cattivo è diffidente e malevolo verso tutti, poiché giudica gli altri col proprio metro. Per questo i buoni sono già soggetti ad essere ingannati, a meno che siano diffidenti a causa di esperienze precedenti. E i cattivi preferiscono i beni di natura all’amico, e nessuno di essi ama di più un uomo che delle cose. Perciò non sono amici. Infatti non è così che le cose degli amici diventano comuni. Infatti da costoro l’amico è preso come un’aggiunta alle cose, non già le cose un’aggiunta agli amici"(36).

Tommaso d’Aquino nella dichiarazione programmatica presente nella "Summa contra gentiles" recuperava in pieno l’idea aristotelica per cui l’uomo, nella vita contemplativa tesa al conseguimento della sapienza, rinveniva la sua prestazione più caratteristica stando al riconoscimento che "inter omnia vero hominum studia sapientiae studium est perfectius, sublimius, utilius et iucundius"(37). L’eccellenza della meta si accompagnava peraltro a difficoltà non trascurabili che avrebbero reso impervio ed arduo il cammino del filosofo teso al suo conseguimento, infatti "non nisi cum magno labore studii ad praedictae veritatis inquisitionem perveniri potest"(38) ed inoltre solo "post longum tempus"(39) e "post longum exercitium"(40). E così di fatto soltanto un numero esiguo di uomini in grado di giungere al possesso della sapienza, di cui molti erano incerti dal momento che "a diversis qui sapientes dicuntur, diversa doceri"(41)., mentre altri, nella loro arroganza speculativa, ritenevano di esser venuti a capo del mistero della natura: "sunt enim quidam tantum de suo ingenio praesumentes ut totam rerum naturam se reputent suo intellectu posse metiri, aestimantes scilicet totum esse verum quod eis videtur et falsum quod eis non videtur"(42). In Tommaso, al contrario, in sintonia ancora una volta con le indicazioni aristoteliche, si suggeriva una traiettoria di ricerca in cui "ab hac praesumptione animus liberatus ad modestam inquisitionem veritatis perveniat"(43). Con tali indicazioni si conservava pienamente lo spirito della riflessione aristotelica tesa a salvaguardare in ogni caso la complessità del reale e della condizione umana che, nel conseguimento difficile e mai completo della sapienza, rinveniva ciò che dava significato e valore all’azione ed alla vita.

Il "fiat iustitia" non deve avere per conseguenza il "pereat mundus"

Nella sua "Filosofia del diritto" Hegel osserva come l’azione in virtù della sua estrinsecazione oggettiva dia vita a tutta una serie di conseguenze anche non volute, secondo l’avvertenza poetica di Schiller che aveva notato: "nel mio animo, il mio fatto era ancora mio; una volta liberato fuori del sicuro cantuccio del cuore, suo terreno materno, abbandonato nella plaga estranea della vita, esso appartiene a quelle maligne potenze, che nessun’arte umana addomestica"(44).

In prima istanza l’idea che nelle azioni le conseguenze vadano del tutto trascurate o che, all’opposto, si debbano solo considerare le conseguenze delle decisioni prese, appare al filosofo come scelta astratta ed unilaterale nella sua perentorietà adialettica(45). Se è vero che nella tragedia greca non si è ancora pervenuti alla distinzione tra fatto ed azione, tra avvenimento esterno e proposito interiore per cui la colpa viene a configurarsi al di là di ogni distinzione tra ciò che consegue inevitabilmente dall’azione e ciò che sopravviene accidentalmente(46), le cose cambiano nella più matura coscienza moderna di cui il filosofo si pone come interprete autentico(47). Hegel riconosce l’importanza dell’intenzione in cui si esalta la volontà soggettiva per cui il "diritto a questo giudizio porta con sé l’intera o la limitata responsabilità dei fanciulli, dei mentecatti, dei pazzi nelle loro azioni"(48), in quanto appaiono estranei alla dimensione interiore del proponimento, ma giudica unilaterale e riduttivo restringere a tale ambito la valutazione morale e così, a suo avviso il "fiat iustitia non deve avere per conseguenza: pereat mundus"(49), come si verifica nel caso della volontà soggettiva in cui il bene ha valore unicamente per la sua conformità alla valutazione interiore e così si trascura la situazione oggettiva in cui viene a calarsi la decisione: "ciò che io richiedo, per l’appagamento della mia convinzione del bene, del lecito o dell’illecito, di un’azione, e, quindi, della sua imputabilità a questo riguardo, non pregiudica, però, il diritto dell’oggettività… poiché l’azione è un mutamento che deve esistere in un mondo reale, e quindi vuol essere riconosciuta in questo, essa deve essere conforme, in generale, a ciò che ha valore in tale mondo"(50).

Da tale angolatura ben si comprende come Hegel ravvisi nello scetticismo una sorta di malattia mortale e così "l’affermazione che l’uomo non può conoscere il vero, ma che tratta soltanto con fenomeni… queste e simili concezioni tolgono allo spirito come il valore intellettuale, così ogni valore e dignità etica"(51). Il diritto dell’uomo a non riconoscere qualcosa che non ritenga razionale è fondamentale, ma "a causa della sua determinazione formale, il giudizio è altrettanto atto ad esser vero, quanto ad essere semplice credenza e errore"(52) e così "il diritto del soggetto di conoscere l’azione nella determinazione del bene e del male, del legale e dell’illegale, ha nei fanciulli, nei mentecatti, nei folli, la conseguenza di diminuire o di eliminare, anche da questo lato, l’imputabilità"(53). Peraltro esasperare l’importanza della lucidità cognitiva nell’accertamento della colpevolezza e così ritenere che "il delinquente, nel momento della sua azione, debba essersi rappresentato chiaramente il torto e la punibilità di essa, perché possa essergli imputata come delitto, - questa pretesa, la quale sembra garantirgli il diritto della sua soggettività morale, lo priva invece, dell’immanente natura intelligente"(54), la quale, nella concretezza della vita, non è legata in maniera univoca alla trasparenza concettuale del momento in cui l’azione viene compiuta, ma si allarga a tutta la situazione complessiva antecedente in cui possono emergere aspetti di responsabilità. Il filosofo prende comunque le distanze dalla filosofia che "spaccia la conoscenza del vero come vuota inutilità"(55) e ravvisa nel "buon cuore, la buona intenzione e la convinzione soggettiva"(56) ciò che dà valore alle azioni "poiché ciò che uno fa, sa, con la riflessione della buona intenzione e dei motivi, renderlo in qualche modo buono… Così non ci sono più, delitto e vizio in sé e per sé, e al posto del peccare franco e libero… è introdotta la coscienza della completa giustificazione, per mezzo dell’intenzione e della convinzione"(57). Si viene in tal modo a trascurare il fatto che la legge ha una sua consistenza oggettiva(58) che viene del tutto meno dal momento che "la distinzione di importante e di insignificante è qui esclusa, se è unicamente la soggettività della convinzione e il perseverare nella medesima ciò che importa"(59). Il principio della giustificazione in base al convincimento interiore provoca inoltre una sorta di dissoluzione nella compagine sociale, difatti "si dà la conseguenza, quanto al modo di agire di altri, di fronte al mio agire, che, poiché essi, secondo la loro credenza e la loro convinzione, ritengono per delitto le mie azioni, fanno perciò interamente bene; - conseguenza, nella quale, non soltanto io non conservo nulla in anticipazione, ma , al contrario, sono degradato, dal punto di vista della libertà e dell’onore, soltanto al rapporto della servitù e del disonore"(60).

Nella figura dell’"Anima bella" Hegel trova compendiato lo stile di vita in cui il culto esclusivo delle buone intenzioni induce ad una sorta di fuga dalla realtà: "così noi vediamo che ora l’autocoscienza è ritornata nel suo intimo recesso al quale dilegua ogni esteriorità come tale… Portata a tanta purezza la coscienza è la sua figura più povera… Gli manca la forza dell’alienazione, la forza di farsi cosa e di sopportare l’essere. La coscienza vive nell’ansia di macchiare con l’azione e con l’esserci la gloria del suo interno; e, per conservare la purezza del suo cuore, fugge il contatto dell’effettualità… in questa lucida purezza dei suoi momenti, una infelice anima bella, come la si suol chiamare, arde consumandosi in se stessa e dilegua qual vana caligine che si dissolve nell’aria"(61). Bloccata quasi per una sorta di coazione a ripetere nella conservazione dell’armonia interiore, l’anima bella si sottrae al travaglio del negativo ed a qualsiasi messa in crisi della sua identità ed in tal modo viene a bloccare qualsiasi possibilità di ulteriore sviluppo(62) "sconvolta sino alla pazzia… si consuma in tisiche nostalgie"(63). Ogni vagheggiamento del passato è del tutto improponibile nello svolgimento hegeliano della storia per cui, non senza malcelato disprezzo, la nostalgia appare come vera e propria malattia dello spirito di chi si sottrae all’asprezza della vita lasciandosi andare a vane dinamiche regressive(64).

Nel mito dell’età dell’oro variamente affiorante e ricorrente nelle avventure culturali della coscienza umana si svela il disagio dinanzi a tutte le ambiguità e le sofferenze che qualificano la storia nel suo faticoso decorso. La collocazione aurorale o terminale del mito per cui l’età dell’oro viene trovata alle origini oppure nella parte finale e conclusiva della vicenda umana non è casuale: nelle filosofie dell’immanenza è in virtù di un processo autogenerativo che l’umanità perviene al suo totale adempimento in cui ogni negatività si dissolve e sublima nella perfezione terminale conseguita (65). Al riguardo l’ironia con cui Kierkegaard commentava ogni progetto in cui l’uomo tendeva ad oltrepassare la finitezza facendo leva unicamente sulle sue risorse naturali conserva integro il suo valore(66) Nella visione della storia che colloca invece il mito nella fase iniziale man mano che ci si allontana da essa si assiste ad una dinamica degenerativa che può essere bloccata solo tornando indietro sino a recuperare la felicità primigenia dalla quale incautamente l’umanità si era distaccata. Siamo veramente agli antipodi della concezione hegeliana e non senza implicazioni negative, di natura regressiva ove il ritorno al passato si configuri come recupero di una armonia infantile estranea ad ogni forma di conflittualità o di progetti culturali esauriti nel tempo e nella storia(67).

Il fine giustifica i mezzi nella filosofia dell’immanenza

Una divaricazione di fondo tra la riflessione metafisica d’ascendenza aristotelica ed il pensiero filosofico moderno si ravvisa nel primato attribuito da Aristotele alla contemplazione pura e disinteressata in cui l’uomo perviene alla massima realizzazione delle sue virtualità naturali(68), al contrario di quanto ritiene Marx che nella filosofia individua una mera manifestazione sovrastrutturale in cui l’uomo si sottrae alla reale comprensione di sé diluendo l’epoca e la società in cui vive in raffigurazioni ideologiche e funzionali al mantenimento ed alla conservazione dello stato di cose esistente(69). A suo avviso tutti i problemi speculativi ricevono una soluzione effettiva quando, dislocati dall’ambito teorico in quello pratico, nella trasformazione strutturale del sistema economico ricevono il loro scioglimento più appropriato(70). In tale contesto il primato della coscienza e della intenzionalità si dissolve del tutto(71). Marx non è certo incline a valorizzare i sogni e le idealità nutrite dalla coscienza umana ove si pongano come alternativa plausibile alla ferrea scansione della storia di cui ritiene di esser venuto a capo dischiudendone completamente l’enigma(72).Di seguito, nelle impietose smentite della storia, nella crisi radicale dell’idea di progresso, nella sfiducia crescente sulle possibilità della conoscenza umana di risolvere il problema della realtà e dei valori, si è venuto affermando l’orientamento pragmatistico del moderno filosofare al cui interno le idee sono giustificabili non tanto in virtù della consistenza teorica quanto in forza della loro capacità di risolvere ed aggiustare esistenzialmente certe situazioni(73). In tale esito si porta a compimento il processo di esautorazione della contemplazione pura e disinteressata in cui Aristotele ed i medievali avevano colto il massimo e risolutivo adempimento delle possibilità umane(74).

In Hegel come in Marx si avverte l’importanza decisiva attribuita alla fase terminale della vicenda e così criterio di valutazione diviene il successo storico. La logica dell’immanenza favorisce lo svolgimento autoreferenziale della storia che, soprattutto nella fase finale, perviene al massimo della trasparenza(75). Il conseguimento della meta viene a rendere legittimo ogni mezzo per cui mentre i marxisti ripudiavano a livello verbale la formula che "il fine giustifica i mezzi"(76), sul piano della lotta sociale e di ciò che era utilizzabile nel processo storico di liberazione della classe operaia e dell’umanità intera questa massima era intrinseca alla logica del loro sistema e così paradossalmente "Marx est probablement le seul marxiste qui lui ait refusé son obéissance, parce que sa tache de penseur de la révolution lui interdisait les promiscuités de la politique révolutionnaire, et parce que d’autre part son idée de la mission messianique du prolétariat lui rendait sacré, selon una table de valeurs qui était un vestige du passé, l’honneur de la classe ouvrière et du parti ouvrier"(77).

In tale assetto terico si radica l’ostracismo nei riguardi delle intenzioni che non si calano nella realtà, dei sogni ammantati della vana pretesa di superiorità interiore in chi li prova e senza poi dotarli di alcuna incidenza nel concreto divenire storico incurante di tali vagheggiamenti da "anime belle". Nella sua unilateralità l’opzione che privilegia le dinamiche reali a discapito della intenzionalità facilita comunque la comprensione dei limiti entro cui rimane chi si limita a coltivare la purezza delle intenzioni e la nobiltà interiore rimanendo quasi bloccato nell’algida perfezione morale estranea alla storia e pertanto incapace di trasferire nella vita i valori interiormente coltivati(78).

E. Mounier tra morale dell’intenzione ed etica della responsabilità

Nel pensiero di Mounier si nota una prolungata e sofferta attenzione nei riguardi dei rapporti che intercorrono tra vita interiore e realtà storica, tra il vagheggiamento dei valori e i tentativi concreti di tradurli nella realtà, quando si viene a contatto con tutte le vischiosità dell’azione in cui è impossibile, nella maggior parte dei casi, evitare qualche compromesso(79). Tutto il suo sforzo è teso a rompere il divorzio mortale tra idealismo e realismo(80). I pensatori materialisti e gli spiritualisti propongono soluzioni contrastanti ed unilaterali cadendo nello stesso errore di separare drasticamente corpo ed anima, pensiero ed azione quando al contrario la crisi è ad un tempo economica e spirituale, di struttura e dell’individuo(81). La storia dell’uomo, secondo Mounier, non si svolge secondo la drastica scansione di luce e di tenebre(82), cara alla mentalità semplificatrice incapace di coglier tutta la vasta gamma di situazioni intermedie e così accade che uomini, sinceramente tesi alla ricerca della verità, sedotti da una logica aberrante incorrono in esiti del tutto antitetici a quelli vagheggiati(83).

Se in epoca moderna si è affermata la concezione materialistica (84) ciò è dovuto anche alla cattiva interpretazione che è stata data dello spiritualismo(85): "trop d’idéalistes, trop de pacifistes, trop de belles ames et trop de coeurs nobles ont fait du spiritual une maison de retraite pour les divers rhumatismes que confare l’existence. A la première douleur, on fait un saut dans l’idéal, et en compagnie des grands esprits de tous le siècles et de toutes les religions, préalablement vidés de leur chair et de leur flamme, réduits à l’état de fantomes moraux, on se fait une triple et sainte curasse de douceur contre sa mission d’homme"(86).

In molti casi la buona coscienza si è configurata come una sorta di fuga dalla vita(87), onde salvaguardare la personalità da ogni contaminazione. In realtà nella storia concreta non si trovano i "puri" capaci di trascrivere in pienezza le idealità morali(88), in tal caso peraltro i valori eterni verrebbero ad essere come cristallizzati in definite manifestazioni storiche(89) al punto che qualsiasi critica o forma di scollamento nei loro riguardi sarebbe percepita, per mancanza di discernimento, come pericolo estremo(90). Nel moralismo, di cui Mounier è critico sagace, s’annida la convinzione di far scaturire la scelta politica dalla idealità morale senza mediazione alcuna(91), ed in tal modo non si capisce che la gran parte delle scelte non riguarda il bene ed il male nella loro esclusiva identità, ma la realtà concreta in cui esistono mescolati e confusi(92), per cui necessita coniugare di continuo il principio dell’intenzione con quello della responsabilità onde operare in maniera più aderente alle esigenze della condizione umana(93). Non bisogna sotto il pretesto di una autenticità incontaminata rifiutare il coinvolgimento nelle ambiguità della storia e nel possibile rischio di perdite e di alienazione(94). Del resto in speculare antitesi alla concezione immanentistica in Mounier ogni successo mondano rimaneva pur sempre subordinato alla trasfigurazione interiore dell’uomo(95) che appariva premessa indispensabile per un efficace inserimento nella storia, al di fuori comunque di ogni preconcetto atteggiamento di superiorità(96). Da qui veniva la critica a tutti coloro che, sorretti da valori religiosi, si attribuivano il monopolio delle verità politiche(97), trascurando l’infinita trascendenza del divino e la fragilità congenita nella natura umana)98). In tal senso nelle variegate forme dell’ateismo moderno si poteva ravvisare una sorta di teologia negativa(99) in virtù della quale l’esperienza religiosa poteva quasi essere depurata da certe effimere e maldestre interpretazioni che nella loro unilateralità (100), avevano indotto ad identificare la religiosità con certe sue discutibili manifestazioni,errore a suo tempo stigmatizzato con grande finezza da B.Constant(101).

Per Mounier la storia dell’uomo in tutte le sue complesse ed intrecciate dinamiche(102) non si svolge secondo i suoi desideri ed in ogni caso "l’intelligibilité perfaite de chaque événement n’est possibile que par la totale connaissance de la totalità de l’histoire. Et voilà pourquoi l’aventure humaine reste tragique et l’action dans l’histoire, incertaine, oscure"(103). Non per questo il pensatore francese si risolve nel pessimismo storico, in cui ravvisa una sorta di riverbero di vicende umane(104) non adeguatamente sublimate(105), al contrario in tutta la sua opera sollecita all’impegno ed alla vita(106) nella consapevolezza tuttavia che "il n’y a de problèmes sérieux que ceux dont la solution n’est jamais acquise"(107), rimanendo così agli antipodi dei filosofi dell’immanenza inclini a pensare nei loro esponenti più significativi che l’uomo, in virtù della sua energia, possa dare piena soluzione alle domande poste dalla storia(108). Con la crisi radicale dell’idea di progresso che faceva da supporto teorico a tale convinzione e con l’affermazione, quasi per contrasto, di una visione scettico relativistica dei valori come accade in M.Weber, la riflessione filosofica intorno alla morale dell’intenzione ed all’etica della responsabilità può avere rilievo unicamente a livello descrittivo delle modalità esistenziali che qualificano lo stile di vita prescelto Da tale punto di vista, accertata l’indimostrabilità dei valori, la cui scelta è riconducibile ad una fede puramente individuale, la filosofia non sarà in grado di indicare la scelta da effettuare, ma potrà semplicemente mettere in chiaro come ci si debba atteggiare esistenzialmente al fine di rimanere coerenti all’opzione effettuata.

E’ appunto nel clima culturale filosofico di eclissi dei valori che viene ad essere drasticamente ridimensionata l’importanza di ogni esperienza teorico-contemplativa. E’ qui che si consuma secondo Simone Weil il grande tradimento della modernità che subordina la verità alla vita(109). In tale scelta deviante il pensiero viene a convogliarsi in una dinamica pragmatico-utilitaristica in virtù della quale ciò che soprattutto importa è la soluzione pratica dei problemi che di volta in volta si presentano, a prescindere comunque da ogni ingombrante preoccupazione di valore, considerata come impaccio da accantonare(110). In tal senso le penetranti osservazioni di Mounier conservano integra la loro suggestione in quanto tese in ogni caso a salvaguardare la personalità umana nel suo problematico raccordo ai valori (e questo vale anche per le scelte concrete effettuate dal pensatore francese), secondo dinamiche di complementarietà tra il corpo e lo spirito, il reale e l’ideale, la sfera delle intenzioni e quella della responsabilità senza preliminari ed aprioristiche certezze di autenticità

Conclusione

Quando in ambito di valutazione si privilegia l’aspetto dell’interiorità trascurando gli esiti non voluti e non riportabili alla volontà dei protagonisti si può giungere a giudizi ingenerosi ed inaccettabili se, conoscendo l’intero decorso di una vicenda storica, si retrodata la responsabilità degli attori che al momento della scelta non erano assolutamente in grado di controllare tutte le conseguenze indotte dalle decisioni(111) Indubbiamente se è ingiusto riportare alla intenzionalità dei protagonisti le conseguenze negative non prevedibili, per coerenza va ridimensionata l’attribuzione di merito per certi risultati positivi ottenuti per fortuita coincidenza evitando l’errore di ricondurre i successi a motivi decisionali ed imputando invece i fallimenti a fattori imprevedibili ed estranei al controllo dei protagonisti. Certo in tal modo si riduce la frustrazione dovuta agli errori ed alle inadempienze e si aumenta l’autostima e la fiducia in maniera anche eccessiva attraverso una sorta di "baldanza cognitiva" che favorisce una fiducia esagerata nei poteri del pensiero, in realtà in molti casi smentiti dalle impietose repliche della storia(112). E’ questo il motivo per cui siamo indotti al rammarico per tutte le decisioni che non abbiamo preso piuttosto che per quelle compiute in quanto il decorso delle conseguenze indotte nel primo caso risulta più allineabile alla dinamica della intenzionalità e del desiderio; inoltre siamo sempre restii ad invalidare e a mettere in crisi una decisione presa per una sorta di coazione a ripetere giustificativa che induce a perseverare in una strategia operativa anche quando si è palesata errata(113).

E così è tramite l’autoinganno che ci si sottrae all’incertezza ed al dubbio, d’altra parte, in mancanza di tale legittimazione, si potrebbe incorrere in una vera e propria paralisi decisionale ove la coscienza troppo chiara della incompletezza delle informazioni relative alla scelta operativa rendesse impossibile ogni scelta. In tale senso una certa dose di incoscienza può essere funzionale al superamento del blocco operativo e d’altronde come dimenticare che la non-decisione è pur sempre una scelta e non necessariamente la migliore?(114)

Ove si radicalizzi l’opzione a favore esclusivo della morale dell’intenzione è facile accedere all’ipotesi interpretativa in virtù della quale tutto ciò che di negativo accade nella storia è da ricondurre alla perversa intenzionalità di individui e gruppi(115)che, nella categoria del complotto, rinviene la cifra interpretativa caratterizzante(116). In tale procedura s’avvalora la spiegazione che individua la causa profonda del male della storia e della vita in una intenzionalità negativa e, naturalmente, in una intenzionalità di segno opposto quanto in esse appare di positivo. E’ facile pertanto cogliere in coloro che optano decisamente a favore di uno sviluppo della interiorità e della buona coscienza la presenza di una erronea modalità esplicativa in forza della quale gli aspetti positivi e negativi delle vicende umane sono comunque riportabili nell’alveo dell’intenzionalità. In tale ermeneutica si giunge ad identificare i meritevoli ed i responsabili del bene e del male accaduto venendo in tal modo a capo della vicenda storica in maniera ammaliante e suggestiva, ma anche campata in aria dal momento che la lode ed il biasimo possono essere attribuiti a chi non ha alcun merito od alcuna responsabilità poiché la storia, nelle sue complicate dinamiche, travalica di continuo l’intenzionalità dei protagonisti rinvenendo nella eterogenesi dei fini una delle sue traiettorie caratterizzante(117). E’ pertanto indispensabile coniugare dialetticamente la sfera della intenzionalità con quella della responsabilità sempre consapevoli delle difficoltà che accompagnano la traduzione concreta nella vita dei valori ideali che stanno a cuore(118).

 

 

NOTE

(1)G:GIOLITTI, Memorie della mia vita, Milano 1967, p.297-8: "Al rinnovamento della Triplice Alleanza, fatto un anno e mezzo circa avanti lo scoppio della guerra europea, e contro il quale al momento in cui ebbe luogo non furono fatte obbiezioni di qualche peso né all’interno né all’estero… sono state fatte in seguito critiche postume, dal punto di vista degli avvenimenti capitati poi… Coloro che ragionano a questo modo, confondono la situazione dell’uomo politico che deve agire sulla realtà immediata, e dal quale non si può pretendere la qualità del profeta, con quella del critico e dello storico, che si trovano nella condizione assai più comoda di giudicare sui fatti compiuti. E’ assai facile, fra l’altro, dopo che gli avvenimenti si sono compiuti, trovare anche in incidenti mediocri e trascurabili gli indizi di ciò che doveva avvenire; quegli incidenti ricevendo nuova luce ed assumendo una nuova importanza per ciò che è poi avvenuto".

(2)La fonte è un passo della Medea di Seneca, dove si tratta di una battuta della protagonista nei confronti di Giasone : "Cui prodest scelus, / is fecit". Tale formula è molto utilizzata in tutta una serie di varianti "Is fecit cui prodest", "Is fecit", "Cui bono" a significare in ogni caso che l’autore dell’azione è colui che ne ha tratto vantaggio.

(3)N.VALERI, Giolitti, Torino 1972, p.146 "Vedo troppo chiaro quanto vi è di brutto e di spregevole nell’andamento attuale della politica italiana, ma non voglio aiutare chi ci porterebbe a cose peggiori. Purtroppo non vi è ora la scelta fra il bvene e il male, ma fra mali diversi; e questo è il lato più triste della vita politica".

(4)Come nota giustamente Popper nella sparsa riflessione intorno all’"olismo" ed alla filosofia della storia

(5)F.A.HAYEK, L’abuso della ragione, Firenze 1967, p.105: "Mediante l’interazione spontanea, le forze sociali talvolta risolvono problemi che la mente individuale non potrebbe mai risolvere coscientemente, e che forse neppure percepisce".

(6)C.VASOLI (a cura), Idee, Istituzioni, Scienza ed arti nella Firenze dei Medici, Firenze 1980, p,109-10: "tutte l’altre creature hanno avuto una certa legge, per la quale elle non possono conseguire altro fine che quello che è stato ordinato loro da la natura, né possono uscire in modo alcuno di quei Termini che ella ha assegnato loro. E l’uomo, per avere questa volontà libera, può acquistarne uno più degno e uno manco degno, come pare a lui".

(7)Ne "Il Sole - 24 Ore" del 25 Marzo 2007, M.DI FRANCESCO in "Ciò che resta del libero arbitrio" alla p.38: "Sembra infatti che la deliberazione in ambito morale sia correlata con una complessa negoziazione tra aree cerebrali, che rende obsoleta la distinzione tra ragione e emozione e tratta molti dei nostri comportamenti apparentemente spontanei come il prodotto di decisioni e scelte operate dalla nostra circuiteria neutrale, con poco o nullo controllo della nostra mente cosciente".

(8)La ricerca della verità è il contrassegno dei filosofi autentici che non si sono lasciati condizionare dalla moda culturale della loro epoca e, pur nel variare delle risposte mantengono nel fondo una tensione ideale che li accomuna.

(9)S.AGOSTINO, De vera religione, Madrid 195 , 39, p

(10)Come è noto nel diritto barbarico non si dà grande rilievo al momento della intenzionalità ed in tale caratteristica si ravvisa la sua inferiorità rispetto ad altre formazioni giuridiche in cui a tale aspetto viene riconosciuto tutto il suo valore.

(11)J.MARITAIN, La philosophie morale, Paris 1960, p.546-7: "La parfaite individualisation que Kierkegaard cherchait dans la relation entre Dieu et la subjectivité, c’est l’amour qui la procure. Et à ce plan le mot célèbre : aime et fais ce que veux, se réalise en plénitude… La loi morale est observée mieux que jamais, mais elle n’est plus un joug qui contraint la volonté, elle est un message qui fait savoir à l’intelligence comment plaire à celui qu’on aime ». Fermo restando che per l’uomo moderno l’accertamento dell’amore è di per sé problematico, stando alle indicazioni dei « pensatori del sospetto » che hanno ravvisato nella coscienza e nelle sue manifestazioni la zona « degli inganni », per cui dietro ogni dichiarazione esplicita può nascondersi il suo contrario e tale indicazione vale anche per le parole d’amore che, debitamente smascherate, possono rivelare

qualcosa di molto diverso dalla loro apparenza.

(12)G.SARTORI, Democrazia cosa è, Milano 1993, p.282: "L’assurdo del nostro tempo è di invocare la buona società nel momento stesso nel quale cancelliamo i parametri ( di bene e di male) che la qualificano."

(13)G.SARTORI, La politica, logica e metodo in scienze sociali, Milano 1979. L’autore insiste fortemente sull’idea che in politica è necessaria una preparazione specifica per cui il fatto di avere competenze notevoli in altri ambiti(scientifico, poetico, letterario) di per sé non abilita e non rende immediatamente possibile la valutazione politica rigorosa.

(14)G.SARTORI, Democrazia cosa è, op.cit., p.319: "interviene, a complicare tutto, l’eterogenesi dei fini, o comunque inetervengono l"conseguenze non previste" dei nostri intenti.

(15)S.NANNINI, L’anima e il corpo, Bari 2005, p.207: "l’ipotesi materialistica e naturalistica ha guadagnato enormemente terreno negli ultimi due secoli: mai come oggi nella storia dell’umanità è sembrato plausibile che come si può, dopo Darwin, fare a meno di Dio per spiegare la vita, così si può fare a meno dell’anima per spiegare l’intelligenza".

(16)Pensiamo alla teoria dell’uomo come "microcosmo" in Pico Della Mirandola.

(17)G.SARTORI, La politica, op.cit., p.178-9: "la filosofia offre un alimento che la scienza non può dare: il fine. L’uomo ha bisogno di scopi e per essi di ideali e di valori. In tanto si muove e agisce, in quanto sollecitato da "cariche ideali", da "spinte di valore". E qui il sapere scientifico tace…l’uomo ha bisogno di una "filosofia della vita"; e per questo bisogno si appella – piaccia o non piaccia – alle religioni o alle filosofie. Se si vuole, il bisogno metafisico è di tutti; il bisogno scientifico è di pochi".

(18)ARISTOTELE, Grande etica, Bari 1973, p.66: "come non si deve giudicare la qualità di uno scultore dai suoi sbagli e da ciò che fece male, bensì da ciò che fece bene, così non si deve neppure giudicare la qualità né della scienza, né della natura, né di qualsiasi altra cosa dai suoi elementi cattivi, bensì da quelli buoni".

(19)G.SARTORI, Democrazia cosa è, op.cit., p.285: "ex nihilo nihil fit, dal nulla non nasce nulla".

(20)ARISTOTELE, op:cit:, p.94.

(21)op.cit., p95

(22)op.cit., p.96.

(23)ARISTOTELE, Etica Eudemia, Bari 1973, p.186: "la natura è causa della perpetua uniformità e di ciò che è ordinato, mentre la fortuna è il contrario".

(24)ARISTOTELE, Grande etica, op.cit., p.54: "dobbiamo anzitutto esporre le difficoltà e gli argomenti che si oppongono alle apparenze, affinché, avendo visto il complesso della materia dal punto di vista delle difficoltà e degli argomenti contrari e avendoli esaminati, stabiliamo, per quanto possibile, la verità intorno a essi; sarà infatti più facile vedere la verità in questo modo".

(25)ARISTOTELE, Etica eudemia, op.cit., p.93.

(26)ARISTOTELE, Grande etica, op.cit., p.17.

(27)op.cit., p.22: "il volontario non risiede in nessun impulso… esso procede dalla consapevolezza. Infatti l’involontario è ciò che è compiuto per necessità o per costrizione e… ciò che non avviene con consapevolezza".

(28)op.cit., p.39: "quando l’ignoranza è la causa del suo compiere qualcosa, egli non compie ciò volontariamente e quindi non ha comportamento ingiusto; quando invece egli stesso sia la causa dell’ignoranza, ed egli compia qualcosa conformemente all’ignoranza di cui egli stesso è causa, costui è colpevole d’ingiustizia, e sarà, a buon diritto, chiamato ingiusto".

(29)op.cit., p.70-71

(30)op.cit., p.70-71.(31)

(31)ARISTOTELE, Etica Eudemia, op.cit., p.122: "Tutte le cose dunque che, essendo in prpprio potere di non farle, si fanno consapevolmente e agendo noi stessi, sono necessariamente volontarie, e questo è il volontario; quello invece che si compie ignorandolo e per ignoranza è involontario. Ma poiché il sapere e l’essere consapevoli può avere due sensi, può cioè significare sia il possedere il sapere, sia il servirsene, colui che, pur avendo il sapere non se ne serve, può in certo senso esser detto giustamente ignorante; però in altro senso ciò non è giusto, ad esempio se non ci si è serviti del sapere a causa della negligenza".

(32)op.cit., p.128-9.

(33)op.cit., p.138.

(34)op.cit., p.149.

(35)op.cit., p.151.

(36)op.cit., p.158. Ed in G.SARTORI, Democrazia cosa è, op.cit. alla p.257: "la nostra

a età è profondamente inquinata da un sospetto ideologico in ragione del quale la domanda non è più se una tesi sia valida o vera. La domanda diventa: perché dice così? A chi serve?".

(37)S.TOMMASO D’AQUINO, Liber de Veritate Catholicae Fidei contra errores Infidelium, Torino 1961, p.3, cap.II,8.

(38)op.cit, p.6, cap.IV,23.

(39)op.cit.,p.6,cap.IV,24.

(40)op.cit.,p.6,cap.IV,24.

(41)op.cit.,p.6,cap.IV,25.

(42)op.cit.,p.7-8,cap.V,31.

(43)op.cit.,p.8,cap.31.

(44)HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Bari 1974, p.125.

(45)op.cit., p.125: "La massima: "nelle azioni trascurare le conseguenze", e l’altra: "giudicare le azioni dalle conseguenze, e farle misura di ciò che è giusto e buono" – entrambe sono ugualmente prodotto dell’intelletto astratto".

(46)op.cit., p.125: "L’autocoscienza eroica(come nelle tragedie degli antichi, Edipo etc.) non ha ancora proceduto, dalla sua compattezza, alla considerazione delle differenze tra fatto e azione, tra l’avvenimento esterno e il proposito e la conoscenza delle circostanze, così come alla dispersione delle conseguenze; ma assume la colpa in tutta l’estensione del fatto".

(47)op.cit., p.125: "se l’azione del delinquente ha minori cattive conseguenze, la cosa è ascritta a suo beneficio; così come si deve tollerare il fatto che l’azione buona abbia avuto nessuna o poche conseguenze, e che al delitto, dal quale si sono sviluppate piene conseguenze, si imputino queste".

(48)op.cit., p.127.

(49)op.cit., p.135.

(50)op.cit., p.136-37.

(51)op.cit., p.136.

(52)op.cit., p.136.

(53)op.cit., p.137.

(54)op.cit., p.138.

(55)op.cit., p.152.

(56)op.cit., p.153.

(57)op.cit., p.153-4.

(58)op.cit., p.154-5: "Ma se, in conseguenza di ciò, non sono le azioni quelle che bisogna giudicare, cioè, in generale, commisurare secondo quella legge, non si può dire per che cosa quella legge deve essere e servire: tal legge è abbassata a una lettera soltanto esterna; nel fatto, a una vuota parola; poiché soltanto dalla mia convinzione essa è costituita a legge, a un qualche cosa che mi obbliga e mi vincola:- Il fatto che tale legge ha per sé l’autorità divina, dello Stato e anche l’autorità dei millenni, nei quali essa fu il vincolo in cui gli uomini e ogni loro fatto e vicenda si sostengono insieme e hanno consistenza… e il fatto che io pongo, di contro l’autorità della mia convinzione singola… quest’arroganza, che appare, per prima cosa, mostruosa, è messa da parte dal principio stesso, come quello che costituisce a regola la convinzione soggettiva".

(59)op.cit., p.155.

(60)op.cit., p.155

(61)HEGEL, Fenomenologia dello spirito, Firenze 1973, v.2, p.181-2-3.

(62) op.cit., p.192:"Ora in quanto lo spirito certo di se stesso, come anima bella, non possiede la forza di alienare quel sapere di lei stessa il quale si mantiene in sé, essa non può giungere all’eguaglianza con la coscienza che è stata ripudiata e quindi nemmeno all’intuita unità di lei stessa con l’altro".

(63)op.cit., p.193.

(64)op.cit., p.159: "Ma la moralità pura, del tutto separata dall’effettualità, così da non avere verso di questa alcun rapporto positivo, sarebbe una astrazione inconsapevole ed in effettuale dove il concetto di moralità, - quello di essere pensiero del dovere puro, nonché un volere e un operare, - sarebbe tolto senz’altro. Una così pura essenza morale è perciò a sua volta una distorsione della cosa, ed è da ripudiarsi".

(65)J.MARITAIN, op.cit., p.560: "Tout grand système moral, en effet, est en réalité un effort pour demander à l’homme, d’une manière ou d’une autre, de dèpasser en quelque facon sa condition naturelle "

(66)KIERKEGAARD, Diario, Brescia 1980, p.62 : "Vi è una certa specie di metafisici che quando non possono andare più avanti, fanno uno sforzo su di se stessi prendendosi per il codino come il barone di Munchhausen, e così riescono ad avere un apriori".

(67)P.BARGELLINI, Ritratto virile, Brescia 1939, p.193-4: "Perché la nostalgia, che è sempre sgno di debolezza, assuma un colorito ideale, deve avere il suo fuoco all’infinito. Non nostalgia di secoli defunti, ma nostalgia di eterno".

(68)MARX, Scritti filosofici giovanili, Firenze 1972, p.221: "Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita…Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita". Dalla "Ideologia tedesca".

(69)op.cit., p.184: "La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica". VIII tesi su Feuerbach.

(70)op.cit., p.185: "I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo". XI tesi su Feuerbach.

(71)op.cit., p.183: "La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero".

(72)op.cit., p.125: "Il comunismo… è la verace soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo… E’ il risolto enigma della storia e si sa come tale soluzione". Manoscritti economico-filosofici del 1844.

(73)M.DE UNAMUNO, Vita di don Chisciotte e di Sancio, Milano 1961, p.229: "se la vita è sogno, perché dovremmo ostinarci a negare che i sogni son vita? E tutto ciò che è vita è anche verità. Ciò che noi chiamiamo realtà, è forse qualche cosa di più che un’illusione che ci spinge a operare e produce per mezzo nostro azioni’ L’effetto pratico è l’unico criterio valido intorno alla verità d’una qualsiasi visione".

(74)ARISTOTELE, Etica Nicomachea, Bari 1973, p.263: "sembra invero che la filosofia apporti piaceri meravigliosi per la loro purezza e solidità; ed è logico che il corso della vita sia più piacevole per chi conosce che non per chi ancora ricerca il vero. E l’autosufficienza di cui abbiamo parlato si troverà soprattutto nell’attività contemplativa".

(75)HEGEL, Fenomenologia dello spirito, op.cit., v 1, p.15: "Il vero è l’intiero. Ma l’intiero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell’Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Resultato, che solo alla fine è ciò che è in verità".

(76)J.MARITAIN, op.cit., p.321.

(77)op.cit., p.321.

(78)In certi casi si rimane come prigionieri della perfezione morale acquisita , in realtà anche ciò che è positivo può essere gestito in maniera maldestra ed unilaterale.

(79)C.MOIX, La pensée d’Emmanuel Mounier, Paris 1960, p.22: "Et tout engagement met en contact avec des impuretés de l’action. Mounier en souffrait. Il note en 1932 déjà : « Déchirement de ne pouvoir faire un pur témoignage du Christ. Une des servitudes de ce monde. Moi qui ai eu toute ma vocation intérieure tournée vers la vie érémitique, méditation, flamme intérieure, vie privée, amitié, me voilà jeté en pleine rue, condamné au travail impur et bruyant, à la corvèe de quartier ».

(80)op.cit., p.49 : «Toute l’œuvre de Mounier témoigne de son effort incessant pour « briser le divorce mortel de l’idéalisme e du réalisme ».

(81)op.cit., p.82 : « Pour lui, spiritualistes et matérialistes participaient de la meme erreur qui consiste à séparer le corps et l’ame, la pensée et l’action, l’homo faber et l’homo sapiens. Pour lui, la crise est à la fois économique et spirituelle, una crise des structures et une crise de l’homme ».

(82)op.cit., p.50 : « La verité se livre presque toujours sous l’apparence de l’ambiguité. Tout ce qui est humain est à la fois ombre et lumière ».

(83)op.cit., p.50 : « Il est bien des manières de trahir la vérité, meme pour celui qui la cherche sincèrement. C’est la tentation du tout ou rien, comme s’il était possible de sauver tous les aspects de la vérité ».

(84)S.NANNINI, op.cit..

(85)C.MOIX,op.cit., p.91 : « C’est la trahison de l’esprit qui a provoqué la violente réaction du matérialisme ».

(86)op.cit., p.98.

(87)op.cit., p.100 : « Sous des attitudes différentes, leur désordre est commun : la grande istance qui sépare leur bonne conscience de la réalité. Cette non-conformité de la parole et des actes, des règles morales et de la conduite de la vie, cette immense inflation d’hypocrisie dans humains, le scandale les démasque ».

(88)op.cit., p.147 : « Mais l’appropriation la plus odieuse est peut-etre celle de la vie morale, la constitution de « sectes de purs », la bonne conscience des pharisiens, attitude qui répugne à la vraie spiritualité chrétienne ».

(89)op.cit., p.102 : « il faut ajouter ceux qui commettent une erreur de perspective historique. Ces hommes immobilisent l’éternel dans les manifestations historiques qu’ils lui ont connues une fois ».

(90)op.cit., p.102 : « fidèles aux valeurs éternelles, les croient en danger quand on s’attaque à la forme anachronique qui les représente ».

(91)op.cit., p.107 : « penser la politique en moralistes, c’est-à-dire adopter des attitudes politiques dérivées directement d’attitudes morales ».

(92)op.cit., p.155 : « Il reste que la personne est conditionnée et limitée par sa situation concréte. Mounier a cité cette parole de Montalambert : « On n’est pas maitre, ici-bas, de choisir entre les choses qui plaisent ou qui déplaisent, mais entre les choses qui sont ».

(93)op.cit., p.166 : « Il ne s’agit pas, bien sur, d’établir un clivage quelconque entre ces deux types d’action. Toute action vraie ne sépare jamais le souci d’efficacité du souci de pureté. Il est vrai que le tempérement politique et le tempérement prophétique sont loin de toujours se rencontrer dans le meme homme. L’essentiel est de ne pas écarter l’une des tendances au profit de l’autre ».

(94)op.cit., p.201 : « Le personnalisme, parce qu’il est un réalisme intégral, veut servir l’homme total. Il ne reste pas sur le seul plan des idées. Pour lui le souci de faire est inséparable du souci d’etre. Il se garde, sous prétexte d’authenticité, de refuser les choses du monde. Il sait que toute action est impure, que dans toute mèdiation il y a le danger d’aliénation ».

(95)op.cit., p.242 : « Mounier n’a jamais cherché à diminuir la rèalité du dilemme christianisme-communisme. Dans un texte radiodiffusè en 1945, il en rappelait brièvement les données : « Le christianisme se présente comme une doctrine à fondement spirituel, qui met au premier rang les valeurs de vie personnelle, qui subordonne les succès de l’homme dans ce monde à sa transfiguration intérieure et la maitrise de la nature à l’établissement d’un Royaume spirituel. . Le communisme, au contraire, soumet les valeurs individuelles à la vie collective, donne comme projet essentiel à l’humanité la domination des forces matérielles, et nie l’existance d’un monde surnaturel. Que d’aussi graves divergences placent chrétiens et communistes à deux antipodes métaphysiques, je crois que personne ne songe à la nier chez les uns ni chez les autres ».

(96)op.cit., p265 : « Porteurs d’une mission, ces chrétiens pensent avoir trouvé la solution quand ils ont réussi à harmoniser des formules. Leur grand défaut est de conclure trop vite, oubliant les servitudes de la chair qui sont la loi de tout homme… Il faut se méfier, dit Mounier, des proclamations morales qui n’ont pas de prise sur l’histoire ».

(97)op.cit., p.273 : « Les divergences politiques des catholiques, si on en voit bien la cause, ne portent pas atteinte à leur unité du point de vue doctrinal. Il faut y insister un peu parce que trop de chretiens croient possèder le monopole de la « verité politique » et accusent leurs adversaires politiques chrétiens de trahir la doctrine. Ils doivent admettre qu’une politique de nom chrétien n’exprime qu’imparfaitement l’absolu et que la confrontation des diverses tendences peut etre d’un grand profit et faire avancer la recherche, à condition que ces debats ne soient pas des querelles partisanes, mais se fassent en vérité et en charité ».

(98)op.cit., p.287 : « la doctrine chrétienne n’élimine pas le tragique. Il est basé sur deux croyances capitales : l’infinie transcendance de Dieu, l’universalité profonde du péché ».

(99)op.cit., p.238 : « Il a toujours pensé qu’il y avait dans les professions athées une part de théologie négative ».

(100)op.cit., p.298 : « Le chrétien qui connaît sa doctrine ne peut pas admettre que cette décadence soit una maladie inhèrente au christianisme. Les déformations causées par la réfraction historique sont étrangères à son essence. Mais religion incarnée, il touche aux choses de la terre ».

(101)B.CONSTANT, Œuvres, Gallimard 1957, p. !365-1395, De la religion considérée dans sa source ses formes et ses développements.

(102)MOUNIER, Lettres, carnets et inédits, Paris 1956, p.194 : « Tout est très compliquè, aujourd’hui plus que jamais, je ne dis pas pour un intellectuel et pour ses jeux, mais pour l’intelligence ».

(103)C.MOIX, op.cit., p.316.

(104)op.cit., p.318 : « pour Mounier l’esprit de castrophe n’est qu’une fuite dans l’idéalisme, un « maladie infantile de la revolution spirituelle » due à des échecs personelles ou à des a priori politiques ».

(105)op.cit.,p.300 : « Parce qu’ils ont toujours vécu sous l’intimidation, ils ne savent pas prendre l’initiative. Ils aiment la soumission parce qu’elle les dispense de réflechir et de juger. Tels sont ces esprits inconsistants et mous, charriés par les flots du monde ».

(106)op.cit., p.330-1 : « Mounier a été un grand témoin de son temps, et plus qu’un témoin puisqu’il a voulu travailler en pleine pate humaine, non par gout des polémiques vaines, mais par amour de la vérité et des hommes ».

(107)op.cit., p.330. Al riguardo significativo lo studio di L.GUISSARD, Mounier, Paris 1962.

(108)In Hegel, Marx, Croce si trova la convinzione che l’uomo in virtù delle sue energie sia in grado di risolvere perfettamente certi problemi. In un certo senso non sono problemi autentici se non quelli risolvibili.

(109)A. DEL NOCE, L’epoca della secolarizzazione, Milano 1970, p.196-7: "E’ stato grande merito di Simone Weil l’avere centrato il punto di una crisi che oggi si è dispiegata completamente nella forma della preminenza della vita alla verità".

(110)op.cit., p.86: "nella visione tradizionale c’è un primato della contemplazione di un ordine ideale a cui la nostra azione deve conformarsi. La civiltà tecnologica gli sostituisce un primato dell’azione, nel senso che la conoscenza umana assume il suo valore soltanto nella misura in cui può servire a dei fini pratici".

(111)G.GIOLITTI, op.cit:, p.297-8.

(112)P.LEGRENZI, Psicologia e investimenti finanziari, Milano 2007.

(113)Attraverso processi di razionalizzazione si rende meno penoso l’insuccesso a discapito però della verità.

(114)A certe domande poste dalla vita è impossibile non rispondere come finemente aveva notato Pascal dal momento che la non-risposta ha una precisa valenza teorica ed esistenziale.

(115)K.POPPER, Logica della ricerca e società aperta, Brescia 1989, p.165: "La teoria cospiratoria della società. Essa consiste nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno… e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo".

(116)op.cit., p.165: "erronea teoria che, qualunque cosa avvenga nella società – specialmente avvenimenti come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie, che la gente di solito detesta – è il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti".

(117)op.cit., p.167: "Noi vediamo già chiaramente che non tutte le conseguenze delle nostre azioni sono conseguenze intenzionali, e quindi che la teoria cospirativa della società non può essere vera perché equivale all’asserzione che tutti i risultati, anche quelli che a prima vista non sembrano premeditati da alcuno sono i risultati intenzionali delle azioni di persone che sono interessate a questi risultati".

(12 giugno 2017)

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