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Prevenire è meglio che curare: gli Antitrust Compliance Program

(di Francesco Piron)

Negli ultimi anni i settori dell’energia elettrica e del gas naturale sono stati - sotto il profilo antitrust - oggetto di grande attenzione sia da parte degli organismi comunitari (dalla c.d. “sector inquiry” nel settore energetico all’ambizioso progetto “Towards an Energy Union” annunciato dalla Commissione lo scorso febbraio) sia delle autorità nazionali garanti della concorrenza (si vedano le recenti indagini conoscitive congiunte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato “AGCM” e dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico “AEEGSI” in materia di stoccaggio, di aggiornamento dello stato della liberalizzazione nel settore dell’energia elettrica e del gas naturale, i numerosi casi di procedimenti istruttori avviati in materia di energia, ecc.).
Nella prospettiva degli operatori ciò ha significato, nel corso degli anni, l’avvio di numerosi procedimenti sanzionatori ed attività d’indagine culminati spesso con misure particolarmente onerose, quali misure cautelari, ordini di cessazione della condotta lesiva e sanzioni pecuniarie amministrative che, nel caso di comportamenti illeciti dal punto di vista antitrust, possono, a seconda della gravità, arrivare addirittura ad importi pari al 10% del fatturato totale realizzato dal Gruppo a cui appartiene l’impresa ritenuta responsabile.
Anche di recente, l’AGCM, in esito ad una complessa istruttoria, in cui ha coinvolto l’AEEGSI per gli aspetti strettamente regolatori, ha inflitto complessivamente 6 milioni di euro di sanzioni a diversi esercenti la vendita di energia elettrica e/o gas naturale per violazioni circa le nuove regole e procedure contrattuali in tema di vendite fuori dei locali commerciali o a distanza introdotte dalla “Consumer Rights Directive” recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 21/2014 (si veda il Bollettino AGCM n. 44/2015 del 07/12/2015).
Anche questi più recenti “casi di cronaca” evidenziano quanto oggi sia sempre più importante per le società di settore dotarsi di efficaci strumenti di compliance tesi a prevenire la commissione di violazioni della normativa antitrust e/o regolamentare nonché rivolti a rispondere in modo adeguato e organizzato alle eventuali attività di vigilanza (ispezioni, richieste di informazioni ecc.) poste in essere dagli Uffici delle Autorità antitrust e/o da quelle di Regolazione. E’ utile evidenziare, infatti, che la stessa previsione di un compliance program adottato all’interno della società potrebbe essere valutata come “comportamento operoso”, e portare quindi ad una riduzione dell’importo di eventuali sanzioni.

Come noto, la finalità principale dei programmi di compliance è la prevenzione della commissione di comportamenti in contrasto con la normativa antitrust e regolamentare del settore specifico.

In ambito antitrust ad esempio, a livello comunitario, nel documento “Compliance matters. What companies can do better to respect EU competition rules”[1] , la Commissione Europea “suggerisce” alle imprese di dotarsi di un programma di compliance antitrust al fine di prevenire la violazione delle regole di concorrenza fissate dall’Unione Europea [2]. Nella medesima pubblicazione la Commissione Europea afferma peraltro che: “La Commissione non intende imporre obblighi, ma un’azienda dovrebbe stanziare risorse sufficienti — adeguate alle proprie dimensioni e ai rischi cui è esposta — all’elaborazione di un programma di compliance credibile”.

A livello nazionale, l’AGCM nelle proprie “Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità” [3] , individua - tra le circostanze attenuanti ai fini dell’adeguamento dell’importo della sanzione - l’adozione ed il rispetto di uno specifico programma di compliance, adeguato ed in linea con le best practice europee e nazionali.

Il c.d. Antitrust Compliance Program (“ACP”), ovvero programma di conformità alla normativa antitrust è, insomma, uno strumento particolarmente consigliabile, non solo per le imprese che detengono nel/i mercato/i rilevante/i una posizione dominante (anche a livello di Gruppo) – vuoi per la loro posizione di monopolisti legali (TSO, distributori ecc.) vuoi per il significativo grado di potere di mercato esercitato –, ma anche per quelle imprese che, pur non avendo una posizione dominante all’interno dello/degli stesso/i, hanno comunque una posizione “non irrilevante” in quanto nello svolgimento della proprie attività:
(i) rivestono una posizione di “controparte necessaria” in virtù della gestione di una infrastruttura essenziale (ad es. gestore di un terminale di rigassificazione);
(ii) stipulano accordi, a monte o a valle del mercato rilevante ove operano, con altre imprese, direttamente o potenzialmente, concorrenti (ad es. grossisti e società di vendita di gas e energia elettrica);
(iii) hanno occasioni di frequenti contatti con imprese, direttamente o potenzialmente, concorrenti (es. partecipando attivamente ad associazioni di imprese o di categoria, consorzi, ecc.);
(iv) operano su mercati “regolati” e quindi soggetti ad una azione particolarmente incisiva di vigilanza da parte delle autorità a ciò preposte com’è nel caso appunto degli operatori soggetti alla regolazione dell’AEEGSI.

In concreto, l’ACP consiste nel prevedere una serie di procedure aziendali interne che permettano all’impresa interessata, e soprattutto ai loro top managers, di tenere in debito conto i vincoli posti dalle norme imperative a tutela della concorrenza e da quelle di regolazione specifiche del settore, limitando al minimo i rischi di violare tali norme e quindi di essere sottoposti a onerosi procedimenti sanzionatori. Inoltre, l’ACP fornisce suggerimenti pratici circa il linguaggio da utilizzare nelle comunicazioni interne ed esterne, l’uso della posta elettronica e delle segreterie telefoniche, il sistema di documentazione interna, ecc., nonché altri suggerimenti circa le condotte interne da seguire in caso di richieste di informazioni ed ispezioni a sorpresa (c.d. “dawn raids”) da parte dei funzionari dell’Antitrust e, con preavviso, da parte dell’autorità di regolazione, ed i principali diritti dell’impresa soggetta ad ispezione (“right to legal advice”, “right against self incrimination”, “legal professional privilege”, “relevance” and “confidentiality”).

Tra le principali finalità infatti dell’ACP, assumono particolare rilievo le seguenti:
(i) aumentare il grado di consapevolezza della normativa specifica di settore e di quella antitrust tra il personale direttivo direttamente coinvolto in attività decisorie/operative sensibili sotto il profilo antitrust;
(ii) prevenire la violazione della normativa di settore e di quella antitrust nazionale e comunitaria da parte dei managers e dei dipendenti dell’impresa interessata così come da parte dei soggetti esterni ma strettamente collegati all'impresa (es. fornitori, clienti);
(iii) instaurare confronti dialettici con le autorità antitrust e con le altre autorità di regolazione anche al fine di ottenere risposte sulla legittimità delle azioni intraprese dall’impresa in anticipo rispetto all’inizio di un eventuale procedimento/indagine;
(iv) guadagnare in termini di immagine e credibilità nei confronti di interlocutori esterni (tra cui le stesse autorità).

Quanto alla struttura ed ai contenuti di un ACP, premesso che ogni Programma deve necessariamente essere personalizzato in relazione alle specifiche esigenze dell’impresa/gruppo societario che intende dotarsi dello stesso e alle peculiari caratteristiche del mercato rilevante in cui essa opera, nella sezione “IN PRATICA” della presente rivista ho individuato, sperando di fare cosa utile per gli operatori pratici e per coloro che vogliano studiare, con approccio empirico, il tema, gli elementi fondamentali di un ACP.
In conclusione, il segreto per un qualsiasi programma di compliance di successo, sia esso relativo a problematiche antitrust sia ad altri temi di compliance regolamentare (e non solo), consiste nel far sì che i comportamenti in esso previsti entrino a far parte della cultura aziendale. Il programma di compliance deve essere progettato per promuovere una cultura etica durevole dell’integrità antitrust, in grado di favorire la libera ed equa concorrenza e il pieno rispetto della legge.

[1] http://ec.europa.eu/competition/antitrust/compliance/

[2] Cfr. “Compliance matters. What companies can do better to respect EU competition rules”, par. 1.2 Benefits of compliance, pag. 9 “One important reason why a company should comply with competition rules, apart from being seen as doing business ethically, is the potentially high cost of non-compliance”.

[3] Cfr. delibera AGCM 22 ottobre 2014, n. 25152: “… 23. Le circostanze attenuanti includono, a titolo esemplificativo: - (…) l’adozione e il rispetto di uno specifico programma di compliance, adeguato e in linea con le best practice europee e nazionali. La mera esistenza di un programma di compliance non sarà considerata di per sé una circostanza attenuante, in assenza della dimostrazione di un effettivo e concreto impegno al rispetto di quanto previsto nello stesso programma (attraverso, ad esempio, un pieno coinvolgimento del management, l’identificazione del personale responsabile del programma, l’identificazione e valutazione dei rischi sulla base del settore di attività e del contesto operativo, l’organizzazione di attività di training adeguate alle dimensioni economiche dell’impresa, la previsione di incentivi per il rispetto del programma nonché di disincentivi per il mancato rispetto dello stesso, l’implementazione di sistemi di monitoraggio e auditing)”.

   (24 febbraio 2016)

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