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Come si cambia (o si deve cambiare), per non morire. A proposito di banche e rivoluzione digitale

(di Francesco Laschi)

 

1.- Le banche e la digital disruption

C’era una volta la banca: custodire i soldi del cliente, investire e restituire al cittadino tramite erogazioni del credito. Questo business che, descritto nella sua essenza, può apparire tutto sommato semplice si è oggi evoluto in un gigantesco erogatore di servizi che vanno dal credito all’investimento, dall’assicurazione al televisore. In due parole, la banca universale.

Nel frattempo la rivoluzione digitale ha investito il mercato: i nuovi clienti  sono, sempre più, c.d. “nativi digitali”, nati e vissuti in stretto rapporto con internet (non solo pc ma anche smartphone, wearable device, smart TV). Le banche sono state dunque investite dalle grandi sfide competitive richieste dal rinnovato contesto. Mentre, però, molti istituti internazionali si sono rapidamente mossi lungo strade innovative, sospinte da un management giovane e sicuro delle potenzialità dei nuovi canali, le banche italiane, e del sud Europa in generale, sembrano invece ancora dormienti, distratte dall’alta competitività, dalla compressione dei margini e dai nuovi entranti nel settore bancario (primi fra tutti Amazon, Apple, Google).

Ma perché le banche italiane sono rimaste, per lo più, ferme ai blocchi di partenza?

Le banche italiane si professano sempre  “cliente centriche”, ma sembrano spesso dimenticarsi del proprio target, preferendo margini di breve termine, raggiunti tramite pratiche commerciali aggressive. Tale tendenza, segno di grande miopia manageriale, distoglie le attenzioni dal vero problema futuro del settore bancario: rinnovarsi attraverso i nuovi strumenti.

Ebbene, gli istituti bancari nel sud Europa risultano, ad oggi, i meno digitalizzati tra i competitor internazionali e, secondo le previsioni McKinsey (gennaio 205), riceveranno soltanto il 29% dei flussi economici derivanti dalla  c.d. digital disruption”, a fronte del 62% della penisola scandinava e del 57% del Regno Unito. Digital disruption non è termine facile da tradurre: si potrebbe provare con “sconvolgimento digitale”, ma mi pare per certi versi limitativo. Il vero punto è che la rivoluzione digitale sbatte letteralmente fuori dal mercato le imprese che non ne seguono il passo. Si pensi a quanto  accaduto in Italia con il car sharing, servizio che sta erodendo la quota di mercato dei Taxi. Insomma, non è solo distruzione di mercato, ma anche migrazione verso prodotti e servizi meno costosi, più rapidi, on demand.

Anche nel mercato bancario si sta affacciando – sempre più “minacciosa” – la “distruzione” digitale, ma, come detto, i grandi gruppi bancari italiani non sono parsi, almeno fin qui, reattivi ai cambiamenti, con  qualche eccezione; ad esempio, Banca Sella, Hype, che forte di un management snello, ha creato un sistema di P2P Payment davvero semplice da usare.

Eppure appaiono fin d’ora evidenti i rischi di un simile “letargo”, rischi fatali. Ma perché allora tanto autolesionismo?

Tre sembrano le possibili risposte: l’attenzione spasmodica per le entrate nel medio-breve periodo, la attanagliante paura della concorrenza e una visione strategica ristretta, a comparti stagni.

In particolare, la paura del management bancario italiano è principalmente dovuta all’anzianità anagrafica dei clienti italiani, non ancora totalmente sicuri di fronte al mondo online. Paura che si traduce in refrattarietà al cambiamento, non solo in Italia. Chris Skinner, nel suo libro sulla digital bank (1), accusa i responsabili commerciali delle banche di essere “alieni o stranieri digitali” (2), perché totalmente al di fuori delle logiche social e online; e la critica va, indirettamente, a colpire anche l’età del personale dirigenziale bancario (dato, questo, preoccupante nel contesto bancario italiano, e non solo bancario). Dirigenti più in là con gli anni possiedono spesso grande esperienza e capacità, ma per creare uno “schiacciasassi digitale” e far ripartire il mercato da zero appare necessario disporre di risorse non solo preparate ma anche, appunto, native delle nuove metodologie di business.

Ma è la visione di business attualmente utilizzata da molte aziende del settore, “a silos”, come si dice nel gergo economico, l’aspetto più preoccupante tra quelli evidenziati (3). Tanto più quando parliamo di canali e digitalizzazione. Finora abbiamo visto strategie distributive che non prevedevano la collaborazione fra i vari canali; anzi, a volte il canale fisico ha escluso quello digitale, e viceversa. Limitarsi ad una multichannel strategy non è però più sufficiente per affrontare le nuove sfide di mercato: un progetto, per portare valore aggiunto e servizi innovativi, dovrà quindi abbandonare tale logica e adottare una visione distributiva integrata: un solo canale che comunica attraverso mezzi diversi, con conseguente riduzione dei costi operativi, semplicità di fruizione. Lato cliente, ciò si traduce in una maggiore consapevolezza delle scelte. Infatti, oggi il cliente quando entra in banca viene solitamente inondato da una molteplicità di stimoli, più o meno aggressivi, che cercano di spingere all’acquisto dei prodotti in collocamento. Il mutamento dello scenario sta invece creando un consumatore desideroso di offerte on demand. Perciò sono nate aziende di successo operanti nell’universo ICT, quali Amazon, Google, Apple, Uber e tante ancora. Queste imprese si caratterizzano, oltre che per l’utilizzo dei canali digitali, per l’utilizzo dei Big Data (4) che servono a creare un’offerta personalizzata. Ciò produce, inoltre, un vero e proprio ribaltamento del rapporto cliente/venditore tipico del mass marketing: adesso non sarà più il venditore a dover cercare il cliente ma il cliente che, bisognoso di un servizio, cercherà il prodotto, indirizzato dagli stimoli che il venditore emetterà su vari canali, digitali e non. In questo modo, si avranno clienti maggiormente formati a livello commerciale e più sicuri  dinanzi alle sempre diverse proposte di marketing. D’altra parte, le aziende dovranno fare del desiderio del cliente e della customer experience il proprio credo, abbandonando il focus sui margini e la competizione, poiché un servizio orientato al cliente porta utili attraverso la fidelizzazione, non solo mediante l’impiego massivo di stimoli aggressivi.

Consideriamo poi la crescente propensione verso una cash less society, non solo da parte delle nuove generazioni ma anche delle istituzioni che potrebbero così ottenere una consistente riduzione dell’evasione fiscale. Molti Stati hanno già ridotto l’utilizzo di contante; pensiamo a Danimarca e Svezia, dove il contante potrebbe sparire a partire proprio dal 2016, o all’Australia che, secondo Westpac Bank, sarà pronta ad abbandonare il contante entro il 2020. A livello mondiale, la multinazionale WorldPay ha calcolato che nel 2019 i pagamenti tramite mobile wallet saranno più diffusi di carte e contanti (5), Italia non esclusa. La spinta principale all’abolizione del contante arriva, naturalmente, dai nuovi competitor, Apple, Google e Amazon, che stanno sviluppando piattaforme di pagamento alternative.

Ebbene, le banche non potranno non prendere coscienza di tali rapidi cambiamenti e proporre soluzioni efficaci per consentire al cliente di seguire le nuove tendenze e nello stesso tempo cogliere le nuove opportunità di business senza farsi schiacciare dalle tecnologie dei nuovi entranti.

2.- Qualche proposta, con lo sguardo rivolto al (prossimo) futuro

Scopo dell’analisi condotta è di stimolare un ragionamento sul ruolo della vecchia e gloriosa istituzione-banca nel futuro, tenuto conto degli “sconvolgimenti ambientali” di questi anni. Alcuni esempi ci indicano la strada da seguire.

-          Abbandonare le strategie multicanale per ridurre le distanze tra banca e clienti. Caixa Bank.

La banca spagnola ha scelto di costruire una relazione profonda con la clientela, attraverso un sistema distributivo totalmente orientato a facilitare l’accesso ai servizi bancari. Benjamí Puigdevall, a capo dei canali elettronici di Caixa, descrive un modello basato su quattro pilastri costruiti per far coincidere la visione della banca con le strategie digitali. Il primo viene definito digital proximity, cioè l’utilizzo dei canali digitali per mantenere e migliorare la relazione tra consumatore e filiale fisica, attraverso idee innovative. Una di queste è The Wall, strumento tramite cui è possibile chattare, fare video chiamate o condividere con il proprio consulente report e schede. Un’altra è il servizio Ready to buy, che serve ad accorciare i tempi di risposta delle filiali rispetto alle richieste dei clienti, per fidelizzare il cliente e, per così dire, “arrivare prima” degli altri competitor. Il secondo pilastro riguarda la comunicazione con il cliente, che per lo più viene ancora fatta attraverso riepiloghi e informazioni periodiche. Con i nuovi metodi, sfruttando le nuove tecnologie, è possibile tenere continuativamente il cliente a conoscenza dei movimenti del conto in tempo reale. Il terzo punto riguarda la riorganizzazione del back office, poiché soltanto velocizzando i processi, nell’ottica di un nuovo paradigma organizzativo, si può significativamente innalzare la user experience. L’ultimo pilastro, infine, consiste in metodi di innovazione aperta, funzionali alla creazione di idee innovative, con l’apporto fondamentale di clienti o dipendenti della banca. In tale prospettiva, è stata quindi creata una piattaforma, Inspiranos, concepita come un raccoglitore di idee che, dopo essere state accuratamente vagliate, possono essere finalmente realizzate.

In definitiva, Caixa Bank ha costruito uno strumento integrato di comunicazione e distribuzione utilizzando tutti i canali a disposizione, fisici e digitali.

-          Creare un network di clientela tramite l’utilizzo del web. Widiba

 La nuova nata Widiba ha cercato di creare una nuova rete di clienti tramite l’utilizzo del crowdsourcing, strizzando l’occhio al mondo dell’innovazione aperta. Tralasciando i risultati economici e commerciali della banca, quello che più va evidenziato è una frenetica attività online, volta alla fidelizzazione della clientela; l’idea è quella di far sentire il cliente parte della banca e creare uno strumento ad immagine e somiglianza dell’utente finale, in modo da trasformare la partecipazione in fidelizzazione. In circa un anno sono entrati a far parte della community Say and Play di Widiba più di 300.000 utenti. Ciò  attraverso una metodologia di coinvolgimento tipica delle piattaforme social, con scambi di idee e opinioni. La forza di tale metodo sta nel poter attingere direttamente dal target finale le idee, successivamente trasformate in servizi, se ritenute utilizzabili dalla banca. L’esempio apre la strada a nuovi modelli di costruzione di brand e volume di clienti.

-          Costruire strumenti semplici da comprendere e utilizzare. CheBanca!

La banca online del Gruppo Mediobanca ha creato WoW, acronimo di wallet of wallets, un innovativo strumento a disposizione della clientela che consente, peraltro anche a chi non è cliente dell’Istituto, di beneficiare di strumenti di pagamento avanzati: il requisito minimo e sufficiente è essere titolari di carta di credito o di un account PayPal. La prima registrazione è facile ed intuitiva e può essere effettuata utilizzando anche i dati già registrati su Facebook; il che  denota una forte, e positiva, integrazione con i social network. Proprio dai social, infatti, viene ripresa l’idea del trasferimento di denaro, in ottica Peer2Peer, tra gli utenti del network WoW, in modo semplice, veloce ed efficace. Tale funzione non è certamente una novità per il mondo bancario, mondiale e italiano (un esempio è l’app di Banca Sella, Hype), ma balza subito agli occhi come siffatti strumenti potranno, anche nel breve termine, rivoluzionare il settore. Chi scrive è fermamente convinto che l’avanzamento nel mercato delle nuove generazioni permetterà a prodotti come WoW di conquistare una cospicua fetta del mercato di riferimento.

-          Liberalizzare il mercato finanziario. La App Robin Hood.

Giunti a questo punto, pare opportuno introdurre un caso non bancario, una start up statunitense che ha in breve tempo conquistato l’appellativo di “Uber della finanza”. L’applicazione, nata da due studenti di Stanford, propone un sistema di brokeraggio privo di commissioni d’ingresso (eccetto una commissione sul capital gain) e una fruibilità smart, grazie anche alla grafica particolarmente efficace; basti pensare che l’App, disponibile per ora solo negli Stati Uniti, ha vinto un Apple Design Award: segno di un’importante attenzione non solo ai contenuti ma anche al customer engagement. I Ceo hanno sviluppato un’organizzazione estremamente funzionale, razionalizzando i costi (non hanno una struttura fisica e i costi operativi sono estremamente contenuti) grazie all’utilizzo esclusivo tramite App. Un’impresa entrante come questa può, senza dubbio, creare un effetto disruptive sul mercato; d’altro canto, consentire l’acquisto di titoli con un semplice click rischia di generare comportamenti non coscienziosi da parte dei clienti. In sintesi, sul mercato italiano, uno strumento quale Robin Hood, potrebbe davvero condurre ad una  evoluzione dello scenario competitivo? La risposta, a mio avviso, è sì, ma soltanto se accompagnata da una più diffusa alfabetizzazione finanziaria (particolarmente carente, come si sa, nel nostro Pese).

In conclusione, il mondo dei servizi finanziari sta, inevitabilmente e rapidamente, mutando. Ne consegue che offrire il servizio bancario “tradizionale”, anche attraverso i canali digitali, non può bastare; soltanto le aziende che cavalcheranno l’onda dell’evoluzione saranno in grado, attraverso un nuovo paradigma distributivo e dei servizi, di cogliere, prontamente, le esigenze del cliente, costruendo prodotti tailor made. Una sfida, questa, che per l’Italia si prefigura come particolarmente impegnativa. Sarà possibile vincerla  soltanto se le istituzioni, a partire dal Governo (ricordiamo il già detto impegno dei Governi scandinavi e australiano),  sapranno accompagnare l’utente alla scoperta dei nuovi strumenti disponibili, aprendo ad una concezione nuova di utilizzo della banca.

C’era una volta la banca…e ci sarà ancora, se saprà affrontare un ambiente tutto nuovo e abbandonare metodologie non più al passo coi tempi.

  (31 marzo 2016)

(1) C. SKINNER, Digital bank. La rivoluzione digitale nel sistema bancario: strategie e casi di successo nel mondo, Roma-Bari, Laterza, 2015.

(2) M. PRENSKY, Digital natives, digital immigrants, da On The Horizon, MCB University Press, Vol. 9 No. 5, Ottobre 2001. Prensky distingue i nativi digitali, cioè le persone che sono nate dopo l’avvento di internet e che vivono connessi e a loro agio con le nuove tecnologie; gli immigrati digitali, nati precedentemente ad internet e che cercano di integrarsi nel “nuovo mondo” e, infine, gli stranieri digitali, completamente fuori, invece, dalle logiche di connettività e strumenti smart.

(3) Per silos s’intende la visione di un business o organizzazione, non nel suo insieme, ma legata a meccanismi che funzionano “indipendentemente”, a compartimenti stagni e non comunicanti.

(4) Per Big Data intendiamo la raccolta di tutti i dati forniti dalla clientela durante l’utilizzo dei canali on line; tramite lo studio di essi si possono conoscere le abitudine di consumo dei clienti e produrre offerte personalizzate.

(5) WorldPay, Global Payments Report 2015.

 

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